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Il 20% dei giovani italiani è ansioso o depresso. Di chi è la colpa?  

In forma lieve o moderata ansia e depressione interessano circa il 20% dei giovani universitari italiani. Nel 67% dei casi i sintomi di ansia generalizzata e sociale sono da ricondurre agli effetti negativi più diffusi della pandemia.
Tra i principali fattori del peggioramento della salute mentale dei ragazzi rientrano anche la solitudine, l’eccessivo tempo trascorso online, così come la gestione poco salutare di tempo e spazio, la bassa motivazione e l’incertezza.

È quanto emerge da uno studio condotto dall’università degli Studi di Milano–Bicocca e dall’Università del Surrey (Regno Unito), sulla salute mentale della popolazione giovanile nel contesto universitario.
Lo studio è stato presentato nel corso dell’evento ‘Socialized Minds – La salute mentale giovanile nell’era dei social’, organizzato dall’università Milano-Bicocca e da Janssen, azienda farmaceutica del gruppo Johnson & Johnson.

La salute mentale non è meno importante della salute fisica

Nel corso dell’incontro sono stati presentati i risultati di una ulteriore ricerca realizzata da Ipsos e promossa da Janssen Italia. Questa ricerca evidenzia come la salute mentale sia considerata una priorità (87%) tanto quanto la salute fisica. Dato ancora più significativo se si considera che 4 italiani su 10 non sono soddisfatti della propria condizione mentale, e che 1 italiano su 3 ritiene la propria salute mentale maggiormente a rischio oggi rispetto a 3 o 4 anni fa. L’incidenza maggiore si registra fra le donne (42% vs 31% degli uomini) e i giovani, pari al 42% circa nelle fasce 18-45 anni rispetto al 32% di quelle 46-75. 

La spesa sanitaria è insufficiente a colmare il gap di risorse

D’altronde, secondo uno studio Deloitte-Janssen, la spesa sanitaria dedicata alla salute mentale in Italia è gravemente insufficiente, e nei prossimi 3 anni, serviranno 1,9 miliardi di euro in più per riuscire a colmare il gap di risorse in risposta ad alcune criticità, quali personale, spesa ospedaliera, campagne di sensibilizzazione. 

“L’Italia – ricorda Alessandra Baldini, direttore medico Janssen Italia – si colloca fra gli ultimi posti in Europa per quota di spesa sanitaria dedicata alla salute mentale (dati Ocse), ben lontana da altri Paesi ad alto reddito, destinando circa solo il 3,4%”.

“Servono nuovi approcci in termini anche di salute pubblica”

Giuseppe Carrà, professore di Psichiatria dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca osserva che servono “necessariamente nuovi approcci in termini non solo clinici ma anche di salute pubblica.
La ricerca evidenzia come iniziative preventive e interventi clinici, anche attraverso l’utilizzo di strumenti digitali, social inclusi, debbano essere volti a interrompere il circolo vizioso tra avversità sociali e psicopatologia”. 

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L’AI e il lavoro tra timori ed entusiasmo

Quale è la percezione dell’Intelligenza artificiale in ambito professionale? Risponde un’indagine globale condotta da Linkedin, che rileva come l’AI abbia già avuto un forte impatto sulla vita professionale dei cittadini di tutto il mondo. Il 60% degli intervistati è convinto che già nel corso del prossimo anno l’AI introdurrà nuove modalità di lavoro e altri cambiamenti significativi.
Il 69% degli intervistati poi pensa che l’AI nei prossimi 5 anni diverrà un ‘aiutante invisibile’, e in Europa gli italiani (60%) sono tra i più entusiasti.  Ma se 9 intervistati globali su 10 sono curiosi ed entusiasti di poter utilizzare l’AI al lavoro, 2 su 5 (39%) si sentono sopraffatti da questa trasformazione. Quanto alle preoccupazioni più diffuse in Italia, il 19% si sente in difficoltà a causa delle barriere linguistiche, poiché gli strumenti a disposizione sono in larga parte più efficienti e fruibili se utilizzati in lingua inglese.

Differenze di genere e generazionali

Se il 73% degli uomini a livello globale vede nell’AI un alleato sul lavoro questa convinzione è condivisa dal 65% delle donne. A livello generazionale è la GenZ a temere maggiormente di rimanere indietro nell’apprendimento delle skill necessarie a utilizzare l’AI. Forse, proprio per via di una maggiore consapevolezza della vastità delle possibili applicazioni, dei suoi pro e contro.
È infatti preoccupato il 29% degli intervistati tra 16-26 anni, a fronte del 22% dei Millenials, il 16% dei GenX e il 15% dei boomers. Timore che trova riscontro anche nelle risposte italiane sul tema delle opportunità di formazione. Il 58% dei giovanissimi vorrebbe imparare a utilizzare al meglio l’AI sul lavoro, ma non sa come accedere a questo know-how (49% boomers).

Formarsi e ampliare le proprie skills

Se in Italia il 57% dichiara di non aver ricevuto dal proprio datore di lavoro né linee guida né un training specifico volto a migliorare o ottimizzare il ricorso all’AI, al contempo, le aree in cui gli italiani vedono più opportunità di progresso grazie all’AI sono l’accesso più veloce al sapere e l’informazione (29%), l’aumento della produttività (28%), la velocizzazione dei lavori di sintesi (23%). Non mancano, tuttavia, i timori. In particolare, a preoccupare professioniste e professionisti italiani, è l’aspetto dell’adeguamento delle skills, e la mancanza di opportunità di formazione specifica in questo ambito.

Il 33% dei professionisti italiani la utilizza 

Di fatto se il 33% degli intervistati nel nostro Paese già ricorre all’AI per lo svolgimento delle proprie mansioni la stessa percentuale si sente sopraffatta dal cambiamento che potrebbe portare, e il 30% ha il timore di non riuscire a tenere il passo con l’innovazione. In ogni caso, se è difficile stimare quale sarà l’entità reale dell’impatto dell’AI sul lavoro quotidiano dei professionisti e delle professioniste di tutto il mondo nei diversi settori, è chiaro invece che le imprese per poter crescere e attrarre nuovi talenti dovranno cercare di guidare questo cambiamento. Concentrandosi, in particolare, sull’offerta di nuove opportunità di formazione.

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Autunno 2023, la mappa dei rincari

Ci sono poche buone notizie sul fronte delle spese che italiani dovranno affrontare nei prossimi mesi. Sono infatti previsti incrementi significativi durante l’autunno, con costi in salita che potrebbero pesare fino a 1.600 euro per famiglia, secondo quanto annunciato da Assoutenti. L’organizzazione ha rivisto le sue stime sulle spese previste per le famiglie italiane da settembre a fine anno, considerando fattori come bollette, generi alimentari, spese scolastiche, mutui, carburante e ristorazione.

Aumenti per i generi alimentari e la scuola

Attualmente, il costo complessivo dei generi alimentari è aumentato del 10,1% rispetto all’anno precedente. Se questa tendenza dovesse persistere nei prossimi mesi, le famiglie potrebbero vedere un aumento delle spese per cibo e bevande di circa 190 euro durante il periodo settembre-dicembre rispetto all’anno precedente. A settembre, poi, con la riapertura delle scuole si prevede che le spese per il materiale scolastico aumenteranno. I prodotti di cancelleria, a causa dell’aumento dei costi delle materie prime e della produzione, registrano un aumento del 9% su base annua. Ciò comporta un aumento di circa 50 euro per una famiglia che deve acquistare tutto il materiale scolastico per un anno, a cui si aggiungono i costi dei libri di testo, con aumenti che variano dal 4% al 12%.

Ancora su i listini per benzina ed energia

I costi del carburante per auto sono anch’essi in aumento. Se i prezzi alla pompa rimarranno ai livelli attuali, le spese per il carburante aumenteranno di 107 euro per famiglia durante gli ultimi quattro mesi dell’anno, supponendo due rifornimenti al mese. Le bollette energetiche stanno diventando un’altra preoccupazione, con previsioni che indicano aumenti delle tariffe elettriche tra il 7% e il 10% nel prossimo trimestre. Considerando solo l’aumento delle tariffe elettriche, potrebbe verificarsi un aumento delle spese di 16,1 euro per famiglia nel quarto trimestre dell’anno.

Gli incrementi dei mutui variabili

Le famiglie con mutui a tasso variabile devono anche affrontare ulteriori costi. Le riunioni mensili della Banca Centrale Europea (BCE) vedranno ulteriori rincari dei tassi di interesse, con un potenziale aumento delle rate mensili dei mutui. Ipotizzando un aumento dello 0,25% nei tassi in tutte e tre le riunioni della BCE, le famiglie potrebbero vedere un aumento delle spese complessive di circa 1.170 euro rispetto all’anno precedente. Anche i ristoranti e i bar stanno aumentando i prezzi, con un aumento delle spese previste di circa 28 euro per famiglia nei prossimi quattro mesi.

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Estate 2023: quanti italiani andranno in vacanza?

Quest’estate, circa 35 milioni di italiani si metteranno in viaggio per trascorrere le vacanze estive. Agosto è il mese più popolare per programmare le vacanze, ma sta diventando sempre più comune optare per un fine settimana di relax o un breve viaggetto “mordi e fuggi”. Per quanto riguarda l’alloggio, l’hotel rimane la scelta principale. Tuttavia, c’è il problema del caro vita: l’aumento dei prezzi ha portato i vacanzieri di questa stagione a ridurre la durata del viaggio e le spese in generale, soprattutto per alloggio, cibo e divertimenti.

Il problema del carovita

L’indagine di Federalberghi sul movimento turistico degli italiani in questa estate 2023, condotta con il supporto di ACS Marketing Solutions tra il 17 e il 21 luglio, rivela che il 41% degli italiani non potrà permettersi di fare una vacanza, principalmente per motivi economici. Anche tra coloro che partiranno, il 45% cercherà di contenere le spese, indicando un disagio economico. Il trend delle prenotazioni anticipate è tornato in auge quest’anno, con il 15% dei viaggiatori che ha prenotato la vacanza con due mesi di anticipo. Dopo i disagi causati dalla pandemia, si è tornati a programmare le vacanze in anticipo anche nell’ottica di risparmiare.

L’Italia si conferma la meta preferita

Mentre le destinazioni estere stanno diventando sempre più popolari rispetto agli ultimi due anni, l’Italia rimane la meta preferita dagli italiani stessi. Le regioni più gettonate sono la Sicilia, la Puglia, la Campania e la Sardegna, ma tutte le regioni d’Italia sono apprezzate dai viaggiatori. L’indagine rivela che saranno 34,7 milioni gli italiani che trascorreranno una vacanza fuori casa durante l’estate, con agosto come mese leader (77%), seguito da luglio (17,6%). Il mare rimane la meta prediletta, sia in Italia (82,3%) che all’estero (59,7% nei paesi vicini).

Spesa media? 972 euro a persona

La spesa media stimata per l’intero periodo estivo, comprensiva di viaggio, vitto, alloggio e divertimenti, è di circa 972 euro a persona. La spesa sarà maggiormente concentrata sui pasti (29,1%) e sul pernottamento (28,2%). Circa un terzo dei vacanzieri ha ridotto la spesa per via dell’aumento dei prezzi, mentre il 13,6% ha dovuto accorciare la durata del viaggio. Per l’alloggio, l’hotel rimane la scelta privilegiata (26,3%), seguito dalla casa di parenti o amici (26,3%), il b&b (19,9%), la casa di proprietà (13,6%) e l’agriturismo (5,6%). Rispetto alle preferenze dei viaggiatori, il 76,9% dei casi è influenzato dalla ricerca delle bellezze naturali del luogo, il 37% dall’abitudine, il 29% dalla voglia di relax e il 23,6% dalla facilità di raggiungimento della destinazione. Durante le vacanze, gli italiani dedicheranno tempo a passeggiate (77,3%), serate con gli amici (61,1%) e escursioni per conoscere il territorio (54,9%).La maggioranza dei vacanzieri utilizzerà la propria macchina (55,1%) per gli spostamenti, seguita dall’aereo (31,6%) e dalla nave (5,1%).

Ma il 41,4% dei nostri connazionali non si muoverà 

Il 41,1% della popolazione non farà vacanze tra giugno e settembre, principalmente per ragioni economiche (48,2%). In sintesi, l’indagine rivela che gli italiani desiderano trascorrere una meritata vacanza estiva, ma l’aumento dei prezzi ha portato molti a ridurre le spese e la durata del viaggio. Nonostante ciò, l’Italia rimane la meta preferita e il desiderio di viaggiare è ancora forte, anche se con maggiore attenzione alla gestione del budget.

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Genitori di under 14: come cambia lo smartworking?

Il recente Decreto Lavoro, convertito nella Legge n. 85/2023, ha introdotto importanti cambiamenti riguardanti lo smart working per i genitori con figli di età inferiore ai 14 anni. Queste novità coinvolgono anche i lavoratori fragili nel settore privato e pubblico e riguardano principalmente la proroga dei termini per continuare a beneficiare della modalità di lavoro agile.
In Italia, il concetto di smart working è stato ampiamente discusso durante gli anni della pandemia da Covid-19. Tuttavia, è stato stabilito dalla Legge 22 maggio 2017, n. 81, modificata dalla Legge 122/2022, che lo smart working non rappresenta una nuova tipologia di lavoro, ma piuttosto una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato. Questa modalità prevede che il lavoro sia svolto in parte presso l’ufficio aziendale e in parte in remoto, a condizione che siano rispettati gli orari di lavoro giornaliero e settimanale. I lavoratori che operano in remoto hanno diritto a tutte le protezioni previste per malattie, infortuni e sicurezza sul lavoro.

Più possibilità di lavoro a distanza per alcune categorie

Nel 2021 è stato stabilito che i datori di lavoro, sia nel settore pubblico che in quello privato, debbano dare priorità alle richieste di lavoro agile presentate da lavoratori con figli di età inferiore ai 14 anni (senza limiti per i figli con gravi disabilità) e da lavoratori con gravi disabilità o che svolgono il ruolo di caregiver.
Il Decreto Lavoro del 2023 ha introdotto alcune novità rispetto al precedente DL Milleproroghe, che aveva stabilito la possibilità di adottare il lavoro agile senza necessità di accordo tra le parti fino al 30 giugno 2023. Il nuovo decreto ha prorogato i termini al 31 dicembre, ma solo per i lavoratori subordinati del settore privato. Per i dipendenti pubblici, la scadenza è stata spostata al 30 settembre, nonostante inizialmente non fosse prevista alcuna proroga a causa di fondi insufficienti per coprire i costi.
Tuttavia, i lavoratori fragili a rischio Covid costituiscono un’eccezione a queste scadenze. Pertanto, i lavoratori fragili (come anziani, pazienti immunodepressi, pazienti oncologici, pazienti con terapie salvavita o altre comorbilità) e i genitori con figli minori di 14 anni possono continuare a beneficiare del lavoro agile fino alle date di scadenza stabilite e secondo determinate condizioni.

Come richiedere lo smart working

Per richiedere lo smart working per genitori con figli minori di 14 anni, non è sufficiente avere un figlio di tale età. È necessario che l’attività lavorativa sia compatibile con questa modalità e che sia svolta nello stesso settore o area di inquadramento professionale, come stabilito dai contratti collettivi nazionali. Inoltre, entrambi i genitori devono essere lavoratori e nessuno dei genitori deve beneficiare di misure di sostegno al reddito per la sospensione o la cessazione dell’attività lavorativa.
Nel caso in cui questi requisiti siano soddisfatti, l’attività di lavoro agile può essere svolta senza accordi individuali fino alle date di scadenza indicate, mentre dopo il 31 dicembre 2023 per i lavoratori del settore privato o il 30 settembre per quelli del settore pubblico, sarà necessario un accordo firmato tra le parti.

Comunicazioni in via telematica

A partire dal 28 febbraio 2023, il Ministero del Lavoro ha aggiornato la piattaforma telematica attraverso la quale i datori di lavoro possono comunicare i nominativi dei lavoratori che svolgono o che iniziano a svolgere attività in modalità agile, sia con che senza accordo individuale, nonché le date di inizio e fine della modalità di lavoro agile. Tutta la documentazione necessaria è disponibile sul sito del Ministero del Lavoro.
I datori di lavoro del settore privato devono comunicare l’inizio o la proroga del lavoro agile entro 5 giorni dall’inizio o dall’ultima giornata comunicata prima della proroga. I datori di lavoro del settore pubblico devono inviare le comunicazioni entro il 20 del mese successivo all’inizio o all’ultima giornata comunicata prima della proroga.

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Inflazione e clima preoccupano anche GenZ e Millennial

Lo rivela l’ultima edizione della Deloitte Global GenZ and Millennial Survey, la ricerca condotta in 44 Paesi del mondo, e su oltre 800 giovani italiani: l’impennata dell’inflazione scatenata da guerra e pandemia non spaventa solo gli adulti, ma anche i ragazzi e le ragazze. Per Millennial e GenZ di tutto il mondo il caro vita è la preoccupazione numero uno. E se flessibilità, salute mentale, attenzione all’impatto ambientale e sociale sono sempre più importanti per GenZ e Millennial, molti giovani alla ricerca di un lavoro mettono in discussione la gerarchia di valori che dà senso alla vita. Tanto che in Italia, famiglia e amici sono più importanti della carriera, e i giovani attribuiscono sempre più importanza al work-life balance e al lavoro ibrido. 

Questione climatica e disoccupazione restano temi prioritari

Costo della vita, cambiamento climatico e disoccupazione sono i grandi temi che preoccupano GenZ e Millennial italiani. In particolare, il costo della vita è la preoccupazione numero uno per quasi la metà dei Millennial (46%) e il 38% dei GenZ, ma non meno rilevante rimane la questione climatica, che dovrebbe essere la priorità da affrontare secondo il 37% dei Millennial e il 34% dei GenZ. Significative anche le percentuali di chi teme la disoccupazione (29% GenZ e 26% Millennial).
Oltre a questi tre grandi temi, gli intervistati ‘mettono sul piatto’ anche scarsità delle risorse, disuguaglianza e discriminazione, stagnazione economica e disuguaglianze sociali.

Comprare casa è un obiettivo difficile da realizzare

In linea con la media globale, 50% dei GenZ e 47% dei Millennial teme di non riuscire ad arrivare a fine mese. In particolare, GenZ e Millennial italiani mostrano elevati livelli di preoccupazione per l’impatto della stagnazione economica, che incide sulla possibilità di creare una famiglia e acquistare una casa. Se l’economia non migliorerà nel prossimo anno, il 71% dei Millennial e il 63% dei GenZ italiani pensa che sarà molto difficile o impossibile metter su famiglia (47% e 50% media globale).
Più elevati della media globale anche i timori sulla casa: 71% dei GenZ e 73% dei Millennial pensa che sarà impossibile comprarne una nel prossimo anno se lo scenario economico non migliorerà.

Amici e famiglia sono più importanti della carriera

Per il 68% dei GenZ e il 71% dei Millennial amici e famiglia sono più importanti della carriera, che rimane comunque un elemento fondamentale di identità (49% GenZ, 62% Millennial). Quanto alla modalità lavorativa ideale, la soluzione più desiderata (27% Millennial, 24% GenZ) è la possibilità di stabilire in autonomia se lavorare da remoto. Inoltre, se i GenZ risultano meno stressati e in ansia della media globale (44% vs 46%), i Millennial lo sono di più (42% vs 39%), e a pesare sullo stato di salute mentale sono soprattutto le preoccupazioni sul futuro economico.
Ma nonostante in secondo piano rispetto all’inflazione, la preoccupazione per lo stato di salute del pianeta rimane una delle principali fonti di ansia per le giovani generazioni (63% GenZ, 64% Millennial).

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La sostenibilità sul lavoro è importante per un italiano su due

La sostenibilità sul lavoro diventa una priorità per un numero crescente di persone. In particolare, un italiano su due mette in pratica comportamenti responsabili anche nella propria attività lavorativa
Se nella vita privata si è sempre più attenti ai consumi, al corretto riciclo dei rifiuti, all’acquisto di prodotti green, sembra che ora ci si comporti in maniera responsabile anche nella sfera professionale.
Una tendenza positiva che contribuisce a diffondere un approccio più sostenibile sul luogo di lavoro, influenzando, in ultima analisi, il modo di agire dell’azienda nel suo complesso.
È quanto emerge dal report Deloitte dal titolo Il cittadino consapevole: comportamenti virtuosi in azienda per raggiungere un successo sostenibile.

Obiettivi green integrati nella strategia complessiva dell’azienda 

Stando ai risultati del report, un lavoratore su tre afferma che il proprio datore di lavoro ha avviato un processo di transizione sostenibile attraverso la definizione di un pattern di sostenibilità, con obiettivi chiari e integrato nella strategia complessiva dell’azienda. In particolare, un dipendente su due dichiara che la svolta green dell’azienda dove lavora sta procedendo tramite scelte di economia circolare in ottica di riduzione degli sprechi e di un maggiore utilizzo di materiali riciclabili nei processi produttivi. E per un lavoratore su cinque il proprio datore di lavoro sta puntando maggiormente sulle energie rinnovabili.

Più flessibilità, inclusione e coinvolgimento

Oltre all’aspetto della salvaguardia dell’ambiente, gli italiani richiedono alle aziende dove lavorano, o a quelle in cui vorrebbero lavorare, di adottare modelli di sostenibilità sociale e umana.
In questo senso, emerge tra gli italiani un interesse verso l’adozione da parte della propria azienda di modelli di lavoro più flessibili ispirati al corretto bilanciamento tra lavoro e vita privata, la promozione di azioni mirate in favore dell’inclusione sociale e della riduzione delle disparità di genere.

Come si stanno comportando le aziende?

In sintesi, un impegno concreto sui temi della sostenibilità da parte di un’impresa crea un effetto a cascata sulle persone, che per due terzi del campione interpellato si dimostra in un maggiore impegno sul lavoro, e per quattro italiani su dieci, in un più elevato coinvolgimento in ambito lavorativo. Ma pur di lavorare per un’azienda sostenibile, il 25% degli intervistati si dichiara disposto addirittura a una riduzione di stipendio. Ma come si stanno comportando le aziende?
Un italiano su tre, riferisce Adnkronos, si dichiara soddisfatto di quanto la propria azienda sta facendo in ambito di sostenibilità, e afferma che il proprio datore di lavoro ha reso disponibili risorse per incentivare l’adozione di best practice sul luogo di lavoro senza secondi fini. Ma un italiano su tre pensa che l’azienda stia attuando forme di greenwashing.

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Il settore terziario in Italia è donna 

Il settore terziario comprende le società del commercio, alberghi, pubblici servizi, comunicazioni, credito, assicurazioni, consulenze, trasporti e servizi per l’impresa. Su 100 donne che lavorano alle dipendenze a tempo indeterminato 75 sono occupate nel terziario di mercato, mentre su 100 occupati dipendenti nell’industria e nelle banche solo 27 sono donne. Il terziario in Italia, quindi, è donna. Su 100 dipendenti nei servizi 51 sono donne, e a prevalere è il contratto a tempo indeterminato. Su 100 donne dipendenti nel terziario di mercato oltre 65 hanno un contratto a tempo indeterminato. 
Lo rivela un’indagine dell’Ufficio Studi di Confcommercio presentata ad Arezzo al TDLAB 2023, il meeting nazionale delle donne imprenditrici di Confcommercio.

Occupazione femminile e demografia

L’indagine mostra però che il tasso di occupazione delle donne in Italia è pari al 43,6%, contro una media europea del 54,1%. Se il tasso di disoccupazione femminile in Italia (11,1%) venisse portato al valore europeo (7,2%), si avrebbero 433mila donne occupate in più. Nel confronto tra le macro aree italiane, il tasso di occupazione delle donne al Sud è pari al 28,9% contro il 52% del Nord. 
Secondo l’analisi, la crescita economica, che poi alimenta anche i processi sociali di inclusione e una vita democratica ragionevolmente soddisfacente, dipende dal lavoro, anzi, proprio da quanti lavorano. E quanti lavorano dipende dalla demografia.

Partecipazione e benchmark europeo

L’indicazione è puntare a migliorare i tassi di occupazione e i tassi di partecipazione, cioè accrescere la quota di quanti lavorano tra quelli che vogliono lavorare, e accrescere la quota di quelli che vogliono lavorare tra quanti possono farlo. Se si equalizzasse al benchmark il nostro tasso di occupazione femminile otterremmo quasi 1,9 milioni di occupati, anzi, di occupate in più.
È necessario quindi puntare ad accrescere il tasso di partecipazione femminile. Altro problema tutto italiano è la questione meridionale. Nella partecipazione femminile il Sud si trova oltre 22 punti indietro rispetto al benchmark europeo.

Lavoro e tasso di fertilità

Secondo la ricerca, per risolvere, o almeno per mitigare, la crisi demografica bisogna mettere le donne nella condizione di scegliere liberamente se lavorare o meno, perché l’evidenza internazionale dice senza ambiguità che più le donne partecipano al mercato del lavoro più fanno figli.
Spostare il tasso di partecipazione femminile dal nostro 49% al 60% della media europea, o al 65% della Germania, non garantirebbe di avere mediamente più figli per donna, ma aprirebbe una potenzialità, come suggerito dal comportamento degli altri Paesi. Con questo tasso di partecipazione, riporta Agi, ci sarebbe la possibilità di raggiungere non solo l’Olanda e altre nazioni che si collocano solo poco sopra di noi, ma anche il tasso di fertilità dei tedeschi o dei danesi.

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Festa della Mamma: cosa pensano gli italiani su genitorialità e maternità surrogata?

Quali sono le opinioni degli italiani sul ruolo delle mamme e sul tema della genitorialità? Quanto è importante oggi realizzarsi attraverso la famiglia? E come sono cambiante le mamme di oggi rispetto al passato? Risponde Ipsos con un sondaggio condotto in occasione della Festa della Mamma 2023. Se anche oggi diventare genitore è considerato uno step importante della vita, non per tutti è fondamentale per sentirsi realizzati. Infatti, il 41% del campione considera diventare genitori abbastanza importante, anche se ci si può realizzare in altri modi. In particolare, le generazioni Boomers e Silent, soprattutto le madri over50. Tra queste la percentuale sale addirittura al 57%. Ma il 31% del campione, soprattutto i papà (38% tra under50, 46% tra over50), attribuisce alla genitorialità un’importanza ancora maggiore per la realizzazione personale.

Meglio le mamme di oggi o del passato? 

Di contro, il 28% considera poco importante o addirittura irrilevante l’esser genitori per sentirsi realizzati. Soprattutto GenZ e Millennials, prevalentemente al Nord, e ancora, tra laureati e non credenti. Nel confronto tra mamme di oggi e mamme del passato emerge in generale un atteggiamento critico verso le prime. La maggioranza è infatti convinta che oggi le mamme siano più permissive (82%), meno capaci di trasmettere valori ed educazione ai figli (74%), più stanche, indifferenti e passive (60%), e più in conflitto con i figli (54%). Gli unici tratti positivi riguardano la maggiore informazione sulla vita dei figli e dei loro coetanei (52%), e il maggiore aiuto da parte del partner (70%).

Maternità surrogata: favorevoli, ma con tante incertezze

La questione più ‘calda’ dal punto di vista del dibattito politico è la maternità surrogata. Ipsos non registra tanto le opinioni sulla pratica in sé quanto sull’opportunità di registrare come figli di entrambi i genitori i figli nati all’estero tramite questo sistema, laddove questo sia consentito, una volta rientrati in Italia. Su questo aspetto specifico, recentemente al centro delle polemiche politiche, gli italiani mostrano un atteggiamento tendenzialmente favorevole. Il 40% si dichiara favorevole alla registrazione, ma oltre un italiano su tre (36%) non riesce a esprimersi. A essere contrario è il 24%.
Si rileva poi una differenza sensibile tra uomini e donne, indifferentemente dall’età e dall’essere o meno genitori. I pareri favorevoli salgono al 44% tra le donne, mentre si fermano al 35% tra gli uomini.

Pareri correlati all’orientamento politico 

Non sorprende, poi, che le opinioni sul tema risultino molto correlate all’orientamento politico degli intervistati. Tra chi si colloca a destra o nell’estrema destra la quota dei favorevoli passa in minoranza (26%) e prevalgono i contrari (45%), mentre a sinistra o nel centrosinistra le posizioni favorevoli sono decisamente più marcate (rispettivamente 55% e 56%).
Da notare che anche tra chi dichiara di collocarsi politicamente al centro o nel centrodestra prevalgono, seppur di poco, i pareri favorevoli (rispettivamente 38% e 37%) su quelli contrari (34% e 27%). Segno di un atteggiamento trasversalmente aperto verso queste ipotesi, pur nell’incertezza testimoniata dal grande numero di opinioni incerte.

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ChatGPT fanta-phishing: l’AI aiuterà a combattere le cyber-truffe?

Sebbene ChatGPT, il modello linguistico alimentato dall’AI, avesse già dimostrato la capacità di creare e-mail di phishing e ‘scrivere’ malware, la sua efficacia nel rilevare i link dannosi risulta ancora limitata. Lo studio condotto dagli esperti di Kaspersky sulla capacità di rilevamento dei link di phishing di ChatGPT. ha rivelato che nonostante ChatGPT conosca molto bene il phishing e sia in grado di individuare l’obiettivo di un attacco di questo tipo, presenta un’elevata percentuale di falsi positivi, fino al 64%. E per giustificare i suoi risultati, spesso produce spiegazioni inventate e prove false. Di fatto, gli sviluppatori di ChatGPT hanno sottolineato che è troppo presto per applicare questa nuova tecnologia a domini ad alto rischio.

I tassi di rilevamento variano a seconda del prompt utilizzato 

Gli esperti di Kaspersky hanno condotto un esperimento per verificare se ChatGPT sia in grado di rilevare i link di phishing e verificarne le conoscenze di cybersecurity apprese durante la formazione.
Gli esperti hanno posto a ChatGPT due domande, ‘Questo link porta a un sito web di phishing?’ e ‘Questo link è sicuro da visitare?, e hanno poi testato gpt-3.5-turbo, il modello alla base di ChatGPT, su oltre 2.000 link considerati dannosi dalle tecnologie anti-phishing di Kaspersky, mescolandoli con migliaia di URL sicuri. Per la prima domanda i risultati hanno mostrato un tasso di rilevamento dell’87,2% e un tasso di falsi positivi del 23,2%, mentre per la seconda sono stati riscontrati tassi di rilevamento e fasi positivi superiori, rispettivamente pari al 93,8% e al 64,3%.

Una percentuale i falsi positivi troppo alta per qualsiasi applicazione produttiva

In questo caso, se la percentuale di rilevamento è molto elevata quella dei falsi positivi è troppo alta per qualsiasi tipo di applicazione produttiva. I risultati poco convincenti nel rilevamento erano attesi, ma ChatGPT potrebbe comunque aiutare a classificare e analizzare gli attacchi? Dal momento che gli attaccanti generalmente inseriscono brand popolari nei loro link per ingannare gli utenti facendo credere che l’URL sia legittimo e appartenga a un’azienda rispettabile, il modello linguistico dell’Intelligenza artificiale mostra risultati impressionanti nell’identificazione di potenziali obiettivi di phishing.

Seri problemi nel fornire una spiegazione corretta

Ad esempio, ChatGPT è riuscito a estrarre un obiettivo da oltre la metà degli URL, compresi i principali portali tecnologici come Facebook, TikTok e Google, o marketplace come Amazon e Steam, e numerose banche di tutto il mondo senza alcun apprendimento aggiuntivo. L’esperimento ha anche dimostrato che ChatGPT potrebbe avere seri problemi quando si tratta di dimostrare il proprio punto di vista sulla decisione di classificare il link come dannoso. Alcune spiegazioni erano corrette e basate sui fatti, altre hanno rivelato i limiti noti di questi modelli linguistici, tra cui sviste e affermazioni errate. Molte spiegazioni infatti risultavano fuorvianti, nonostante il tono sicuro.