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Festa della Mamma: cosa pensano gli italiani su genitorialità e maternità surrogata?

Quali sono le opinioni degli italiani sul ruolo delle mamme e sul tema della genitorialità? Quanto è importante oggi realizzarsi attraverso la famiglia? E come sono cambiante le mamme di oggi rispetto al passato? Risponde Ipsos con un sondaggio condotto in occasione della Festa della Mamma 2023. Se anche oggi diventare genitore è considerato uno step importante della vita, non per tutti è fondamentale per sentirsi realizzati. Infatti, il 41% del campione considera diventare genitori abbastanza importante, anche se ci si può realizzare in altri modi. In particolare, le generazioni Boomers e Silent, soprattutto le madri over50. Tra queste la percentuale sale addirittura al 57%. Ma il 31% del campione, soprattutto i papà (38% tra under50, 46% tra over50), attribuisce alla genitorialità un’importanza ancora maggiore per la realizzazione personale.

Meglio le mamme di oggi o del passato? 

Di contro, il 28% considera poco importante o addirittura irrilevante l’esser genitori per sentirsi realizzati. Soprattutto GenZ e Millennials, prevalentemente al Nord, e ancora, tra laureati e non credenti. Nel confronto tra mamme di oggi e mamme del passato emerge in generale un atteggiamento critico verso le prime. La maggioranza è infatti convinta che oggi le mamme siano più permissive (82%), meno capaci di trasmettere valori ed educazione ai figli (74%), più stanche, indifferenti e passive (60%), e più in conflitto con i figli (54%). Gli unici tratti positivi riguardano la maggiore informazione sulla vita dei figli e dei loro coetanei (52%), e il maggiore aiuto da parte del partner (70%).

Maternità surrogata: favorevoli, ma con tante incertezze

La questione più ‘calda’ dal punto di vista del dibattito politico è la maternità surrogata. Ipsos non registra tanto le opinioni sulla pratica in sé quanto sull’opportunità di registrare come figli di entrambi i genitori i figli nati all’estero tramite questo sistema, laddove questo sia consentito, una volta rientrati in Italia. Su questo aspetto specifico, recentemente al centro delle polemiche politiche, gli italiani mostrano un atteggiamento tendenzialmente favorevole. Il 40% si dichiara favorevole alla registrazione, ma oltre un italiano su tre (36%) non riesce a esprimersi. A essere contrario è il 24%.
Si rileva poi una differenza sensibile tra uomini e donne, indifferentemente dall’età e dall’essere o meno genitori. I pareri favorevoli salgono al 44% tra le donne, mentre si fermano al 35% tra gli uomini.

Pareri correlati all’orientamento politico 

Non sorprende, poi, che le opinioni sul tema risultino molto correlate all’orientamento politico degli intervistati. Tra chi si colloca a destra o nell’estrema destra la quota dei favorevoli passa in minoranza (26%) e prevalgono i contrari (45%), mentre a sinistra o nel centrosinistra le posizioni favorevoli sono decisamente più marcate (rispettivamente 55% e 56%).
Da notare che anche tra chi dichiara di collocarsi politicamente al centro o nel centrodestra prevalgono, seppur di poco, i pareri favorevoli (rispettivamente 38% e 37%) su quelli contrari (34% e 27%). Segno di un atteggiamento trasversalmente aperto verso queste ipotesi, pur nell’incertezza testimoniata dal grande numero di opinioni incerte.

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ChatGPT fanta-phishing: l’AI aiuterà a combattere le cyber-truffe?

Sebbene ChatGPT, il modello linguistico alimentato dall’AI, avesse già dimostrato la capacità di creare e-mail di phishing e ‘scrivere’ malware, la sua efficacia nel rilevare i link dannosi risulta ancora limitata. Lo studio condotto dagli esperti di Kaspersky sulla capacità di rilevamento dei link di phishing di ChatGPT. ha rivelato che nonostante ChatGPT conosca molto bene il phishing e sia in grado di individuare l’obiettivo di un attacco di questo tipo, presenta un’elevata percentuale di falsi positivi, fino al 64%. E per giustificare i suoi risultati, spesso produce spiegazioni inventate e prove false. Di fatto, gli sviluppatori di ChatGPT hanno sottolineato che è troppo presto per applicare questa nuova tecnologia a domini ad alto rischio.

I tassi di rilevamento variano a seconda del prompt utilizzato 

Gli esperti di Kaspersky hanno condotto un esperimento per verificare se ChatGPT sia in grado di rilevare i link di phishing e verificarne le conoscenze di cybersecurity apprese durante la formazione.
Gli esperti hanno posto a ChatGPT due domande, ‘Questo link porta a un sito web di phishing?’ e ‘Questo link è sicuro da visitare?, e hanno poi testato gpt-3.5-turbo, il modello alla base di ChatGPT, su oltre 2.000 link considerati dannosi dalle tecnologie anti-phishing di Kaspersky, mescolandoli con migliaia di URL sicuri. Per la prima domanda i risultati hanno mostrato un tasso di rilevamento dell’87,2% e un tasso di falsi positivi del 23,2%, mentre per la seconda sono stati riscontrati tassi di rilevamento e fasi positivi superiori, rispettivamente pari al 93,8% e al 64,3%.

Una percentuale i falsi positivi troppo alta per qualsiasi applicazione produttiva

In questo caso, se la percentuale di rilevamento è molto elevata quella dei falsi positivi è troppo alta per qualsiasi tipo di applicazione produttiva. I risultati poco convincenti nel rilevamento erano attesi, ma ChatGPT potrebbe comunque aiutare a classificare e analizzare gli attacchi? Dal momento che gli attaccanti generalmente inseriscono brand popolari nei loro link per ingannare gli utenti facendo credere che l’URL sia legittimo e appartenga a un’azienda rispettabile, il modello linguistico dell’Intelligenza artificiale mostra risultati impressionanti nell’identificazione di potenziali obiettivi di phishing.

Seri problemi nel fornire una spiegazione corretta

Ad esempio, ChatGPT è riuscito a estrarre un obiettivo da oltre la metà degli URL, compresi i principali portali tecnologici come Facebook, TikTok e Google, o marketplace come Amazon e Steam, e numerose banche di tutto il mondo senza alcun apprendimento aggiuntivo. L’esperimento ha anche dimostrato che ChatGPT potrebbe avere seri problemi quando si tratta di dimostrare il proprio punto di vista sulla decisione di classificare il link come dannoso. Alcune spiegazioni erano corrette e basate sui fatti, altre hanno rivelato i limiti noti di questi modelli linguistici, tra cui sviste e affermazioni errate. Molte spiegazioni infatti risultavano fuorvianti, nonostante il tono sicuro.

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Solo il 15% delle grandi aziende è Data Leader. Perchè?

Solo il 15% delle grandi aziende con un fatturato superiore ai 500 milioni di dollari può essere definito “Data Leader” secondo il report “Data for Humanity” commissionato da Lenovo. I “Data Leader” sono quelle aziende che hanno sviluppato strategie di successo basate su tre pilastri fondamentali: Data Management, Data Analytics e Data Security. 

Più ricavi, meno rischi di scarsa produttività

Queste imprese hanno registrato un aumento dei ricavi (78%) e una maggiore soddisfazione dei clienti (70%). Inoltre, hanno meno probabilità di subire gli effetti di una scarsa produttività dei dipendenti (13%) e di una riduzione del tasso di innovazione (10%). Nonostante solo una minoranza rientri nella categoria dei “Data Leader”, Data Management, Data Analytics e Data Security sono considerati fondamentali per il futuro di tutte le aziende. 

La sicurezza informatica il primo ambito di investimento

Nel prossimo quinquennio, i leader aziendali investiranno soprattutto in strumenti di sicurezza informatica (59%), strumenti di intelligenza artificiale (58%), strumenti di analisi dei dati (57%) e archiviazione dei dati (55%). La maggior parte dei dirigenti intervistati ritiene che la propria soluzione per i dati sia scalabile (58%), altamente automatizzata (57%) e semplice da usare per i dipendenti (55%). Tuttavia, solo il 52% dei manager è soddisfatto della propria piattaforma dati esistente, mentre circa un quarto (23%) ritiene di essere in ritardo rispetto alla concorrenza in questo ambito. Tuttavia, la maggior parte dei leader aziendali concorda sul fatto che il radicamento di una cultura incentrata sui dati nell’intera organizzazione sarà uno degli elementi cardine per la data strategy nei prossimi anni (intera 88%). 

Difficoltà ad accedere ai propri dati

La sicurezza e le competenze sono entrambe citate come aree chiave che frenano le aziende, oltre alle difficoltà di comunicazione interna e di integrazione dei dati. La maggioranza (56%) ha difficoltà ad accedere ai propri dati da qualsiasi luogo, un fattore sempre più importante nell’era del lavoro ibrido. Il miglioramento delle soluzioni di cybersecurity è importante o essenziale per consentire alle aziende di sbloccare il valore dei dati, secondo il 91% degli executive coinvolti nel sondaggio.

Tutte le aziende nel “viaggio nei dati”

Il report suggerisce che ogni azienda si trova in una fase diversa del proprio “viaggio nei dati”. Alcune hanno appena iniziato, mentre altre si trovano in una fase più avanzata del percorso. Le aziende hanno bisogno del supporto dei provider di tecnologia e dei partner per realizzare le soluzioni più efficaci. Inoltre, le aziende devono lavorare per rendere i dati più accessibili e renderli più fruibili per informare o prendere decisioni di business.

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Streaming: le donne preferiscono la TV classica?

Se il 2022 è stato un anno di grande successo per i contenuti originali sulle piattaforme di streaming, tra le donne di età compresa tra i 18 e i 34 anni ha avuto successo anche un altro tipo di programmazione: la TV classica. Sebbene le giovani donne abbiano guardato certamente anche show più recenti, nel 2022 la popolarità di quelli che hanno debuttato anche più di 20 anni fa è inaspettata, soprattutto in un momento in cui i consumatori hanno a disposizione più contenuti che mai.
In ogni caso, secondo Gracenote Global Video Data, a gennaio 2023 il pubblico televisivo avrà a disposizione più di 926.000 titoli tra canali lineari e in streaming, di cui più di 821.000 disponibili sulle piattaforme di streaming.

I contenuti di library sono l’arma segreta delle piattaforme

I contenuti di library, ovvero quelli concessi in licenza alle piattaforme di streaming dopo che sono andati in onda altrove, possono essere l’arma segreta di una piattaforma di streaming, semplicemente grazie alla consapevolezza e alle ‘fanbase’ esistenti.
In totale, 18 dei 25 programmi più trasmessi in streaming nel 2022 e più guardati dalle donne di età compresa tra i 18 e i 34 anni erano programmi concessi in licenza da altre società. Questo pubblico ha guardato poco meno di 77 miliardi di minuti di questi programmi.

Un facile accesso a un maggior numero di contenuti acquisiti

La crescita dello streaming, che ora è il modo predominante in cui il pubblico consuma la televisione, ha consentito un facile accesso a un maggior numero di contenuti acquisiti, tra cui spettacoli iconici. Secondo la più recente indagine Nielsen sui consumatori di contenuti in streaming, la ricerca di contenuti da guardare inizia con lo streaming. Infatti, l’80% degli adulti tra i 18 e i 34 anni inizia la ricerca di contenuti video sulle piattaforme di streaming.

Il pubblico non abbandona il comfort dei classici

Nella nuova fase della guerra dello streaming gran parte del settore si concentra sulla produzione di contenuti di alto profilo e di riferimento per attirare il pubblico. Il Signore degli Anelli: The Rings of Power, ad esempio, si è piazzato al 15° posto tra i programmi originali in streaming, e a quanto pare, è la serie televisiva più costosa della storia. Non si può negare l’attrattiva dei nuovi programmi originali, ma il pubblico non sta abbandonando il comfort dei classici, soprattutto le donne tra i 18 e i 34 anni. Per questo gruppo, ciò che è vecchio è di nuovo ‘nuovo’.

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Come navigare nel futuro incerto e poli-crisi del nuovo disordine globale 

Negli ultimi anni sono nate e si sono sviluppate diverse crisi, che hanno colpito e continuano a colpire tutto il mondo. Pandemia, guerra in Ucraina, crisi climatica, economica, energetica, disuguaglianze e crisi geopolitiche generano una serie di sfide che i cittadini ripongono nelle mani di aziende e istituzioni. Tuttavia, secondo l’Ipsos ‘Global Trends 2023: navigare in un futuro incerto e cogliere le opportunità’, il 74% degli intervistati ritiene che il proprio Governo e i servizi pubblici faranno poco per aiutare le persone durante i prossimi anni, mentre per il 36% il Governo o le imprese (45%) sono in grado di pianificare il futuro a lungo termine.

Globale e locale, una tensione crescente

Sebbene molti parlano di de-globalizzazione, almeno sei persone su dieci nel mondo ritengono che la globalizzazione abbia un effetto positivo, sia per sé stessi (62%) sia per il proprio mercato di riferimento (66%). Nell’ultimo decennio, anche se le tensioni geopolitiche sono peggiorate, questa cifra è aumentata leggermente.
Ma al contempo otto intervistati su dieci ritengono che se non cambiamo rapidamente le nostre abitudini, presto andremo incontro a un disastro ambientale. Ciò su cui non c’è accordo è come affrontarlo, e nonostante i livelli di preoccupazione siano così elevati, oltre la metà concorda sul fatto che gli scienziati non sappiano fino in fondo di cosa stanno parlando in merito alle questioni ambientali.

Marche e aziende, le aspettative dei consumatori

Nonostante le divisioni a livello globale, Ipsos Global Trends mostra che le persone hanno chiare aspettative nei confronti di brand e aziende. La maggioranza crede che le aziende possano essere una forza per il bene comune, con l’80% che concorda sul fatto che i brand possano contemporaneamente perseguire obiettivi economici e sostenere buone cause. Allo stesso tempo, però, il 53% degli intervistati non ha molta fiducia nei leader aziendali.
Inoltre, quasi due terzi dichiara di cercare, il più delle volte, di acquistare prodotti da brand che agiscono in modo responsabile, anche se più cari (64%).

Il progresso tecnologico e l’impatto sulle nostre vite

Tra le crescenti richieste di regolamentazione delle Big Tech, sei persone su dieci nel mondo temono che il progresso tecnologico stia distruggendo le nostre vite. Allo stesso tempo, però, il 71% afferma di non riuscire a immaginare una vita senza Internet, e una percentuale ancora maggiore, l’81%, è rassegnata all’idea di perdere un po’ di privacy a causa di ciò che le nuove tecnologie possono fare.
Ma nonostante le cupe prospettive globali, continuiamo a essere fiduciosi per il prossimo futuro. La nostra tendenza all’ottimismo è evidente: mentre solo il 31% è ottimista pensando al mondo nel suo complesso per l’anno prossimo, la maggior parte si considera felice (57%) e il 59% è ottimista su come il 2023 sarà per sé e per la propria famiglia.

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Gender gap tecnologico: l’Italia è tra i paesi peggiori

A livello globale, anche nel 2022, su 146 paesi l’Italia resta al 63° posto nell’indice del World Economic Forum relativo al gender gap. Il Gender Gap Report 2022 considera le differenze di genere in 4 ambiti, partecipazione economica e opportunità, livello di istruzione, salute e sopravvivenza, ed empowerment politico. In pratica, l’Italia resta sotto la media europea di circa il 6%, piazzandosi tra i tre paesi peggiori per partecipazione economica e opportunità. In particolare, le donne continuano a essere sottorappresentate in ambito STEM, soprattutto nei campi dell’ingegneria (6,6% donne vs 24,6% uomini) e ITC (1,7% donne, 8,2% uomini). Dati negativi anche per quanto riguarda la copertura di posizioni apicali: solo il 15% di ceo è donna.

Solo il 33% dei laureati in materie STEM in Europa è donna

L’Europa fatica ad attrarre le ragazze nell’istruzione e nei lavori STEM. Nonostante superino gli uomini come studenti e laureati a livello di laurea e master, solo il 33% dei laureati in materie STEM in Europa è di sesso femminile. E si stima che entro il 2027 le donne rappresenteranno solo il 21% dei posti di lavoro nel settore tecnologico (fonte McKinsey & Company). Non si tratta solo di un numero inferiore di donne che entrano in un settore altrimenti stabile, ma si prevede anche che entro il 2027 il deficit di talenti tecnologici in Europa raggiungerà quasi i 4 milioni. Le aziende che si affidano alle competenze STEM dovrebbero quindi investire di più per rivolgersi ai gruppi sottorappresentati, altrimenti scoraggiati dal perseguire una carriera nel settore. 

Promuovere le carriere fin dall’asilo nido

“La tecnologia si sta innovando a un ritmo disarmante, con nuove soluzioni in campi come il cloud computing, l’Intelligenza artificiale generativa e l’informatica – sostiene Mariagrazia Perego, 3M Diversity & Inclusion Advocate -. Per comprendere l’attuale deficit di donne nelle carriere STEM, dobbiamo analizzare le ragioni per cui le donne e le ragazze rinunciano a entrare nel settore. In definitiva – osserva Perego -, la dissonanza inizia nei contesti educativi, dove le ragazze non sono incoraggiate a seguire le materie scientifiche, né sono circondate da modelli di ruolo femminili. Se l’attività STEM viene scoraggiata a livello scolastico, è chiaro che non verrà considerata un’opzione di carriera valida”.

I curricula femminili sono triplicati

Secondo i dati segnalati dal gruppo italiano Fortitude, riferisce Ansa, il numero di curriculum femminili in ambito scientifico arrivati nel corso del 2022 è triplicato rispetto all’anno precedente, passando dal 10% al 30% del totale. Anche facendo riferimento ai ruoli più tecnici, si è passati dal 2% al 15%.
“Il gender gap rimane un problema importante – dichiara Leo Pillon, ceo del Gruppo Fortitude -, in particolare per il nostro settore, e ormai da qualche anno ci stiamo impegnando tanto, anche grazie alla collaborazione con l’organizzazione no profit SheTech, che si impegna a colmare il gender gap nel settore delle STEM per portare un vero cambiamento”.

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Perchè l’inglese sta diventando la lingua “ufficiale” delle aziende?

La coscienza dell’inglese? Fondamentale, almeno per lavorare nella gran parte della nuove start up e imprese digital. A dirlo è una recente analisi di Twenix, società impegnata nel settore EdTech. In base ai dati raccolti dalla società e pubblicati in un white paper, sono sempre più numerose le aziende che scelgono l’inglese come lingua ufficiale o corporate. Si tratta di un fenomeno di portata globale, che non si limita al territorio occidentale, ma che si estende anche all’Oriente, come nel caso di grandi compagnie come Samsung, Honda e Lenovo. Multinazionali cui si aggiungono sempre più spesso piccole e medie imprese e startup, che, al pari delle grandi, si aprono ai mercati esteri o accolgono team internazionali.

L’inglese è la lingua universale

L’inglese è la lingua franca d’eccellenza in tutte quelle società che necessitano di un mezzo di comunicazione unitario all’interno di un ambiente di lavoro eterogeneo e multilingue.
L’importanza di adottare un linguaggio comune in ambito professionale è assodata, tanto più che, come rivelato da uno studio dell’Intelligence Unit di ‘The Economist’, una comunicazione che non funziona può compromettere le performance di un’impresa, causando: ritardi o fallimenti nel portare a termine progetti (nel 44% dei casi); morale più basso dei team (31% dei casi); mancato raggiungimento di obiettivi di performance (25% dei casi); perdite economiche (18% dei casi). In sintesi, conoscere l’inglese è ormai un assettatevi strategico per riuscire non solo a emergere, ma semplicemente lavorare bene.

Il valore del Business English


Colloqui, presentazioni, meeting e call in inglese sono situazioni entrate nell’esperienza di moltissimi professionisti e che li hanno messi di fronte all’esigenza di lavorare sulla propria competenza linguistica, in particolar modo orale: «Senza dubbio l’abilità di comunicazione è fondamentale per presentarsi, scambiare idee e opinioni, elaborare strategie. L’inglese è sempre parlato. La facoltà principale da padroneggiare in questi contesti è lo speaking che tuttavia non tutti ancora possiedono. Secondo l’indagine ‘Perché l’inglese è ancora un ostacolo nella tua azienda (e come superarlo)’ condotta da Twenix, oltre la metà (52%) degli italiani afferma di percepire un blocco al momento di intavolare una conversazione in inglese, nonostante il 93% la giudichi uno strumento professionale fondamentale. Proporre un metodo didattico personalizzato, semplice e divertente, con percorsi formativi pratici, ritagliati su misura delle esigenze e degli interessi del singolo professionista, potrebbe essere la soluzione di questo problema.

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Passeggiare nei boschi combatte ansia e depressione 

Nel 2020 in tutto il mondo 264 milioni di persone hanno sofferto di depressione. La depressione è purtroppo un fenomeno comune, così come l’ansia, e spesso questi due disturbi si verificano insieme.
In particolare, in Norvegia, il numero di adolescenti e giovani adulti con depressione e ansia è raddoppiato: il 44% delle ragazze adolescenti norvegesi ora lotta con lo stress e i pensieri pesanti. E circa una persona su dieci sperimenterà ansia o depressione nel corso di un anno.  Dopo una passeggiata nei boschi però i pensieri scorrono un po’ più calmi, le spalle si abbassano, il cuore smette di battere forte. Lo rivela una nuova ricerca dell’Università norvegese di scienza e tecnologia (NTNU) guidata dal professor Simone Grassini, neuroscienziato e professore associato di psicologia all’Università di Stavanger.

La conferma arriva dalla scienza

Il professor Grassini ha selezionato gli studi in cui i ricercatori includevano un gruppo che faceva passeggiate nei boschi e un gruppo di controllo che non faceva passeggiate nei boschi. Tutti, in entrambi i gruppi, hanno lottato con ansia e depressione. Sono stati selezionati sei studi e tutti dicono tutti la stessa cosa: una passeggiata nei boschi è efficace contro l’ansia e la depressione.
“Queste passeggiate sono un metodo efficace e semplice per qualcosa con cui molte persone lottano”, spiega Grassini.

Minore attività nel centro della paura del cervello

Studi di laboratorio dimostrano che anche brevi esposizioni a immagini e video della natura portano a un cambiamento dell’attività cerebrale correlata al rilassamento e al benessere. 
Altre ricerche che dimostrano poi che l’esercizio stesso ha un effetto positivo sull’esperienza del benessere.
“Studi condotti all’aperto hanno dimostrato che anche una breve esposizione a un ambiente forestale porta a una minore attività nel centro della paura del cervello”, aggiunge Grassini.

Negli spazi verdi capiamo di essere parte di qualcosa di più grande

Sebbene il potere curativo della natura non sia stato analizzato con metodi scientifici, è qualcosa su cui molti filosofi hanno riflettuto. Solveig Be, professore di filosofia alla NTNU sottolinea che anche gli esseri umani fanno parte della natura. “Se torniamo abbastanza indietro nella nostra storia evolutiva biologica, siamo imparentati con tutto ciò che vive e ha vissuto”.
Questo spiega, secondo il filosofo, perché stare nella natura sembra significativo. Può aiutarci a renderci conto che c’è qualcosa di più importante di ciò su cui andiamo in giro a meditare nel nostro cuore, riferisce Agi. 
“Fuori negli spazi verdi, circondati dal canto degli uccelli, dal suono dell’acqua che scorre, dall’odore della vegetazione, capiamo di essere parte di qualcosa di più grande – afferma Be -. Può farci bene e aiutarci a dimenticare noi stessi per un po”. 

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Media e crisi: il 18° Rapporto sulla comunicazione del Censis

Crescono ancora gli utenti di Internet, smartphone e tv via web. Tornano a diminuire i lettori di libri, e non si ferma il boom della spesa delle famiglie per i dispositivi digitali.  Ma considerando l’affidabilità di cui godono i media e la fiducia da parte dell’opinione pubblica, radio televisione e carta stampata nell’ultimo anno staccano di gran lunga web e social network in termini di credibilità. Tuttavia, il 60,1% degli italiani ritiene legittimo il ricorso a qualche forma di censura: per il 29,4% non dovrebbero essere diffuse fake news accertate, opinioni intenzionalmente manipolatorie e propagandistiche (15,7%), o pareri espressi da persone che non hanno competenze (15,0%). Al contrario, per il 39,9% la censura non è mai giustificata. Questi, in sintesi, i risultati del 18° Rapporto sulla comunicazione del Censis.

Boom della mobile tv e radio sempre più ibrida 

Nel 2022 il 95,1% degli italiani guarda la televisione, ma la percentuale dell’utenza è il saldo tra la contrazione del numero di telespettatori della tv tradizionale (digitale terrestre -3,9%), la lieve crescita della tv satellitare (+1,4%), il forte rialzo della tv via internet (web tv e smart tv +10,9%) e il boom della mobile tv, passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 al 34,0% di oggi.
La radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media. I radioascoltatori sono il 79,9% degli italiani, ma se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale si attesta al 48,0% (-0,8%), l’autoradio sale al 69,0% (+4,6%), l’ascolto via internet col pc è stabile al 20,4%, e via smartphone lo fa il 29,2% (+5,4%).

Sempre più Internet, sempre meno libri e giornali

Nel 2022 si registra ancora un forte aumento dell’impiego di internet (88,0%, +4,5%, con una perfetta sovrapposizione con quanti utilizzano lo smartphone: 88,0%, +4,7%), e lievitano all’82,4% gli utenti dei social network (+5,8%). Tra i giovani (14-29enni) si registra un ulteriore passo in avanti nell’impiego dei social (93,4% WhatsApp, 83,3% YouTube, 80,9% Instagram), con il forte incremento di TikTok (54,5%), Spotify (51,8%) e Telegram (37,2%), e la flessione di Facebook (51,4%) e Twitter (20,1%). Per i media a stampa, invece, si accentua ulteriormente la crisi, a cominciare dai quotidiani cartacei, letti ormai solo dal 25,4% (-41,6% in quindici anni). Gli italiani che leggono libri cartacei sono invece il 42,7% (-0,9%). Una flessione parzialmente compensata dai lettori di e-book (13,4%, +2,3%).

Smartphone & co: in 15 anni +572,0% di spesa

Tra il 2007 e il 2021 la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico segna un vero e proprio boom, moltiplicando il valore per quasi sette volte, +572,0% (7,9 miliardi di euro nell’ultimo anno), mentre quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori poi è più che raddoppiata (+138,9%).
Ma se i servizi di telefonia e di traffico dati si assestano verso il basso per effetto di un radicale riequilibrio tariffario (-20,7%, 14,7 miliardi di euro), la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio crollo: -37,7% rispetto al 2007.

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Nel 2023 disoccupazione all’8,4% con 63mila disoccupati in più

A ottobre 2022 l’occupazione ha toccato il record storico. Un grande risultato, che però potrebbe invertirsi nel giro di qualche mese. Nel 2023, infatti, il tasso di disoccupazione è destinato a salire all’8,4%. Un livello che, se torna ad allinearsi con il 2011, contribuisce a incrementare il numero dei disoccupati di almeno 63mila unità. I disoccupati in totale saranno quasi 2.118.000, distribuiti soprattutto al Centro-Sud Italia. L’incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58% del totale nazionale
A dare l’allarme è l’Ufficio studi della CGIA, sulla base di un’elaborazione dati Istat e delle previsioni Prometeia.

La Top 10 delle province più disoccupate

Nel 2023 la crescita del Pil e dei consumi è destinata ad azzerarsi, e a livello territoriale le 10 province più interessate dall’aumento dei disoccupati sono Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993).
Sebbene non sia facile stabilire i settori maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, sembra che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire maggiori contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali, tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, macchinari, alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte. Difficoltà anche per trasporti, filiera automobilistica ed edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus.

Crisi pandemica e rischio povertà per gli autonomi

Da febbraio 2020 a ottobre 2022 i lavoratori indipendenti sono scesi di 205mila unità, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377mila. La crisi pandemica e quella energetica ha colpito soprattutto le partite Iva, che a differenza dei lavoratori subordinati sono più fragili. In caso di difficoltà momentanea, ad esempio, non hanno né Cig né, in caso di chiusura dell’attività, alcuna forma di NASPI. Inoltre, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.

Saracinesche abbassate, città meno sicure

Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita. Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche liberi professionisti, avvocati, commercialisti e consulenti, che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le città stanno cambiando volto. Con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento. Anche la Grande Distribuzione Organizzata è in difficoltà, e non sono poche le aree commerciali che presentano intere sezioni con attività che ora hanno abbassato le saracinesche.