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Export agroalimentare italiano, una splendida annata 

In un contesto globale caratterizzato da incertezze e tensioni geopolitiche, l’export agroalimentare italiano ha registrato un notevole aumento, superando i 62 miliardi di euro. Questo risultato rappresenta una delle performance più brillanti tra i principali esportatori mondiali, con una crescita del 6% che è stata superata solo dalla Germania (+6,2%). Francia, Cina e Stati Uniti hanno invece chiuso l’anno con risultati negativi.

La crescita dell’agroalimentare Made in Italy sui mercati esteri è stata trainata principalmente dalle conserve vegetali (+13%), dai formaggi (+12%), dall’ortofrutta (+9%) e dalle carni preparate (+8%). Al di sotto della media si è registrata la crescita dell’export di pasta (+4%), mentre è diminuito l’export di vino (-1%).

I principali “clienti” sono i paesi dell’UE

Il maggior contributo alla crescita delle esportazioni italiane è giunto dai mercati dell’Unione Europea (+9%), mentre Nord America e Asia hanno registrato incrementi marginali (+0,1% e -1,1% rispettivamente). L’export verso il Centro-Sud America è aumentato in modo significativo (+9%), con il Brasile che si è particolarmente distinto con un aumento del 22%.

Questi sono i principali risultati dello studio condotto da Nomisma e presentato durante l’VIII Forum Agrifood Monitor, organizzato in collaborazione con CRIF per analizzare le opportunità di mercato e supportare le imprese nella loro crescita.

Focus sul Brasile 

Il Brasile è stato il focus principale dell’ottava edizione del Forum. Nel 2023, su un totale di oltre 12 miliardi di euro di importazioni agroalimentari brasiliane, prodotti italiani per un valore di 356 milioni di euro hanno trovato spazio sul mercato brasiliano. L’Italia rappresenta l’ottavo fornitore di questo grande mercato, preceduto dai paesi confinanti e da Portogallo, Stati Uniti e Cina. Negli ultimi cinque anni, gli acquisti di prodotti alimentari dall’Italia sono cresciuti a un tasso medio annuo del 10%, superando la media di mercato del 5,7%.

“Il Brasile è il decimo paese al mondo per valore del PIL e il settimo per numero di abitanti, con prospettive di crescita per i prossimi anni. È quindi fondamentale regolamentare meglio i rapporti commerciali, con l’accordo Ue-Mercosur che potrebbe rappresentare una leva strategica per rafforzare gli scambi con le imprese europee, basandosi su standard produttivi equivalenti dal punto di vista sociale ed ambientale” – ha sottolineato Paolo De Castro, Presidente del Comitato Scientifico di Nomisma.

I primi cinque prodotti esportati in Brasile

I primi cinque prodotti italiani esportati in Brasile sono mele (13% del valore totale dell’export agroalimentare italiano), pasta (12%), vino (10%), prodotti da forno e olio d’oliva (entrambi con il 9% del peso totale). L’Italia domina il mercato brasiliano per pasta e prodotti da forno, mentre si posiziona subito dietro Cile e Portogallo nel settore del vino e dell’olio d’oliva.

“Oltre al potenziale economico, il Brasile offre altre opportunità strategiche per le imprese italiane, grazie alla presenza di una grande comunità italiana residente e al flusso turistico annuale verso l’Italia” – ha dichiarato Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma.

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Direttiva Case Green, approvata la Direttiva europea: quali sono obiettivi e tempi?

Il Parlamento Europeo ha recentemente approvato la Direttiva Case Green, un provvedimento ritenuto necessario per contrastare il cambiamento climatico nel settore edilizio. La normativa mira a raggiungere l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 ed è stata approvata con un sostegno significativo: ha infatti ottenuto 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astenuti. Non sono ovviamente mancate le proteste da parte di alcuni esponenti politici.

Obiettivi ambizioni, ma fondamentali

La direttiva stabilisce una serie di obiettivi ambiziosi. A partire dal 2028, tutti gli edifici pubblici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero, con l’obbligo esteso ai nuovi edifici residenziali entro il 2050.

Per gli edifici esistenti, sono stati definiti obiettivi di efficienza energetica: entro il 2030, almeno il 16% degli edifici pubblici meno efficienti dovrà essere migliorato, mentre per gli edifici residenziali esistenti si prevede una riduzione dei consumi del 16% entro lo stesso anno e del 20-22% entro il 2035.

Gli incentivi previsti per l’adeguamento

La direttiva include anche disposizioni riguardanti gli incentivi. I Paesi membri sono tenuti a promuovere la riqualificazione energetica degli edifici attraverso misure fiscali, come esenzioni e detrazioni, e altre forme di sostegno finanziario, come lo sconto in fattura. Tuttavia, si prevede che i nuovi vincoli della direttiva influenzeranno anche i bonus edilizi esistenti, con il possibile impatto sulle politiche di incentivazione già in atto.

Le tempistiche da rispettare

Per quanto riguarda le tempistiche, il testo della direttiva deve ora ricevere l’approvazione finale dal Consiglio europeo prima di essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale e diventare effettivo.

I Paesi membri hanno a disposizione due anni per recepire le norme della direttiva nei rispettivi ordinamenti nazionali, garantendo così una coerente implementazione delle disposizioni.

Una strategia per contrastare il climate change

In sintesi, la Direttiva Case Green rappresenta un importante impegno dell’Unione Europea nella lotta al cambiamento climatico, delineando una chiara strategia per ridurre le emissioni di carbonio nel settore edilizio e migliorare l’efficienza energetica degli edifici.

Questo provvedimento non solo promuove la sostenibilità ambientale, ma anche la creazione di una infrastruttura più moderna e a basso impatto ambientale per le generazioni future.

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Omnichannel Customer Experience: ancora poche le aziende mature

Solo l’8% delle medie e grandi imprese italiane può essere definitoAvanzato nella trasformazione omnicanale, con un punteggio di 7,5/10 valutato attraverso l’OCX Index.
Queste realtà si distinguono per una struttura organizzativa cross-funzionale, hanno lavorato sulla costruzione di una robusta raccolta e integrazione dei dati, e adottano strumenti tecnologici avanzati.

Dalla settima edizione dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, emerge che il grado di maturità medio complessivo è pari a 4,5/10, in leggera contrazione rispetto al 2022 (4,8/10). 
Si tratta di un valore frutto della forte eterogeneità tra le imprese, e un aumento di quelle ancora in una fase esplorativa iniziale, che contribuiscono ad abbassare la media generale.

Human Driven Experience

Uno dei freni principali all’evoluzione nel percorso di maturità riguarda il superamento dei silos organizzativi, che prevede l’allineamento delle funzioni orientate al cliente, e di tutte le altre funzioni, primarie, e di supporto.
Ancora più complessa è la sfida del change management. I dipendenti, oltre a confermarsi un touchpoint chiave nell’interazione cliente-azienda nel customer journey, sono coinvolti nella trasformazione omnicanale su molteplici fronti. Diventa dunque importante strutturare un percorso di employee engagement per renderli protagonisti di tale trasformazione.

A livello internazionale realtà all’avanguardia hanno introdotto il Chief Experience Officer (CXO), per presidiare e migliorare l’esperienza di clienti e dipendenti.
In Italia, solo il 40% delle aziende dispone di un responsabile dell’Omnichannel Customer Experience incaricato di progettare e garantire un’esperienza fluida e coerente per i clienti.

Data & Tech Driven Experience

Se la raccolta di dati basici è ormai una pratica consolidata, quella relativa ai dati avanzati (dati social, derivanti da interazioni umane o con terze parti), essenziali per una comprensione approfondita del cliente, rimane un punto critico. Solo un’azienda su tre riesce a integrare i dati a sua disposizione in logica Single Customer View, fondamentale per abilitare una reale personalizzazione dell’esperienza.

Le difficoltà nella gestione dei dati si ripercuotono sulla capacità di utilizzare i dati per ottimizzare i processi di relazione con il cliente. Se nel Marketing sono ormai diffusi strumenti di Marketing Automation (60%), e le attività di vendita evidenziano un’attenzione crescente alla personalizzazione online il processo di assistenza permane come fanalino di coda.

I trend futuri

L’integrazione tra dimensione umana e tecnologica è al centro dei trend emergenti per l’evoluzione dei modelli di omnicanalità.
Il 63% delle aziende sta sperimentando l’utilizzo dell’AI in ambito Omnichannel Customer Experience, principalmente per la personalizzazione delle raccomandazioni (32%) e l’assistenza clienti digitale tramite chatbot o assistenti virtuali (43%).

L’AI potrebbe spingere anche il processo di ‘Hyperpersonalization’, dove la raccolta e l’elaborazione in tempo reale di dati sull’utente permettono di attivare azioni mirate sul cliente.
Emerge poi la centralità dell’ascolto proattivo della Voice of the Customer (VoC) grazie a tecnologie in grado di raccogliere i feedback dei clienti in maniera strutturata. Pratica che deve estendersi alla comprensione delle percezioni dei clienti sull’esperienza con il brand e l’identificazione e gestione proattiva di situazioni critiche.

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Terzo trimestre, aumenta il numero di nuove imprese. Però…

Durante il trimestre estivo, il sistema imprenditoriale italiano ha mostrato una lieve ripresa, con un aumento delle aperture di attività e una diminuzione delle chiusure rispetto al 2022. Sono dati che emergono dal Registro delle imprese delle Camere di Commercio – sulla base di Movimprese, l’analisi trimestrale condotta da Unioncamere e InfoCamere.
L’analisi ha infatti  rilevato un saldo positivo di 15.407 attività economiche, corrispondente a una crescita dello 0,26% rispetto alla fine di giugno. Questo saldo è calcolato come la differenza tra le 59.236 nuove iscrizioni e le 43.829 cessazioni di attività.

Una dinamica col freno tirato

Tuttavia, in termini assoluti, questa crescita riflette una vitalità contenuta del sistema imprenditoriale, con il saldo al di sotto della media degli ultimi dieci anni.
Le regioni e le macro-aree del Paese hanno tutte registrato un segno positivo, con il Lazio in evidenza per una crescita dello 0,44% rispetto al trimestre precedente, grazie soprattutto a Roma (+0,5%).

La Lombardia ha mostrato l’espansione maggiore della base imprenditoriale con 3.334 nuove imprese, corrispondente a una crescita dello 0,35%. Anche Milano ha contribuito positivamente con un aumento dello 0,49%.
Il settore delle costruzioni ha rappresentato quasi un quarto del saldo positivo, con un incremento dello 0,5%, mentre le attività professionali, scientifiche e tecniche hanno registrato un aumento del 1,1%, corrispondente a 2.597 nuove attività nel trimestre. Le attività di alloggio e ristorazione hanno registrato un incremento del 0,62% con 2.825 nuove unità.

Commercio e manifatturiero così così 

Al contrario, i settori del commercio e delle attività manifatturiere hanno mostrato tassi di crescita inferiori allo 0,1%. L’agricoltura, silvicoltura e pesca è stato l’unico settore a registrare una diminuzione (-0,1%).

Le forme organizzative più diffuse

Nel trimestre in oggetto, una delle forme organizzative più dinamiche è stata quella delle società di capitale, con un tasso di crescita del 0,68% e un saldo positivo di 12.658 unità, rappresentando l’82% dell’intero saldo trimestrale.
L’impresa individuale è rimasta la forma organizzativa principale scelta dai nuovi imprenditori, con 35.531 iscrizioni nel trimestre, ma ha contribuito al bilancio trimestrale con sole 3.935 unità, corrispondente a una crescita del 0,13% a fronte delle 31.596 chiusure registrate nello stesso periodo. Insomma, per fortuna si è assistito a una certa vitalità imprenditoriale nel terzo trimestre 2023, ma si può fare di più!

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Mutui variabili: in un anno e mezzo 2.300 euro di esborso aggiuntivo

Secondo le simulazioni di Facile.it e Mutui.it, a causa del rialzo dei tassi dovuto alla politica monetaria della Bce, a gennaio 2022 chi ha sottoscritto un mutuo medio a tasso variabile ha sborsato in appena 18 mesi oltre 2.300 euro in più. Considerando le aspettative di mercato e le variazioni dell’Euribor, l’indice di riferimento per i mutui variabili, si stima che a luglio 2024 la spesa possa arrivare a superare 5.300 euro. Per l’analisi è stato preso in riferimento un finanziamento a tasso variabile da 126.000 euro, con piano di restituzione in 25 anni sottoscritto a gennaio 2022.

Oggi si pagano 270 euro in più al mese

Il tasso (TAN) di partenza di gennaio 2022 era pari allo 0,67%, corrispondente a una rata mensile di 456 euro. A seguito degli aumenti del costo del denaro messi in atto dalla Bce per contrastare l’inflazione, il tasso è salito arrivando a sfiorare il 4,95% ad agosto 2023, con una rata di circa 726 euro. Di fatto, oggi il mutuatario paga il 60% in più rispetto a inizio 2022 (+270 euro).
Sommando le cifre aggiuntive pagate ogni mese rispetto alla rata di partenza è emerso come da gennaio 2022 ad agosto 2023 l’esborso totale per il mutuatario sia stato di oltre 2.300 euro.

A inizio 2024 inversione di marcia?


Nelle ultime settimane l’Euribor a 3 mesi ha rallentato la sua salita, ma da qui alla fine dell’anno continuerà a crescere raggiungendo il picco tra novembre e dicembre 2023, quando toccherà il 3,86%.
Ciò porterebbe il tasso del mutuo medio preso in esame a superare il 5,10%, con una rata di circa 734 euro, ovvero oltre 275 euro in più rispetto a quella di gennaio 2022. La buona notizia è che con l’inizio del nuovo anno la tendenza potrebbe finalmente invertirsi, tanto che guardando alle quotazioni di marzo 2024, il tasso del mutuo preso in esame dovrebbe scendere al 5,02% per poi calare addirittura al 4,83% a giugno 2024.

Proseguono le agevolazioni per gli under 36

I giovani alle prese con l’acquisto della prima casa possono continuare a godere delle condizioni agevolate di garanzia fino all’80% almeno fino al 30 settembre, dopo la proroga di 3 mesi decisa dal governo. Secondo le simulazioni di Facile.it, oggi per un mutuo fisso al 100% senza agevolazione i tassi (Tan) fissi disponibili online per un finanziamento da 180.000 euro in 25 anni partono dal 4,75%, con una rata di circa 1.026 euro. Chiedendo la stessa tipologia di mutuo, ma godendo delle agevolazioni riservate ai giovani under 36, online si possono trovare tassi che partono dal 3,60%, corrispondente a una rata di 911 euro. Accedendo quindi alle condizioni agevolate è possibile risparmiare quasi 115 euro al mese rispetto a chi sottoscrive il medesimo mutuo, ma senza godere delle agevolazioni.

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Digitale: per l’Italia si apre un nuovo ciclo 

La trasformazione digitale si conferma una leva economica significativa, e il suo ruolo nella ripresa economica del Paese è e sarà sostanziale.
“La combinazione di più tecnologie digitali e una maggiore velocità dell’innovazione rispetto al passato sta disegnando un’industria completamente diversa, che vedrà filiere e Supply Chain sempre più connesse e circolari – commenta Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform -. Fondamentale è il ruolo abilitante dei Digital Enabler nel trasformare produzione e processi, creare nuovi modelli di business, sfide competitive, come pure nuovi mercati. Non a caso stiamo assistendo a dinamiche a doppia cifra nella crescita di Digital Enabler e Transformer: dal Cloud Computing alle piattaforme di Cybersecurity alle soluzioni di Big Data management”.

Un mercato da 77,1 miliardi di euro

Secondo i dati della pubblicazione annuale sull’andamento del digitale in Italia, condotta in collaborazione con NetConsulting cube, nel 2022 il mercato digitale consolida una crescita del 2,4%, con un valore complessivo di 77,1 miliardi di euro. L’aumento più rilevante riguarda i Servizi ICT (+8,5%, 14,8 miliardi), sostenuto principalmente dai servizi di Cloud Computing e Cybersecurity. Andamenti particolarmente positivi anche nel segmento Contenuti e Pubblicità Digitali (+6,3%, 14,5 miliardi) e in quello del Software e Soluzioni ICT (+6,2%, 8,6 miliardi). Il mercato relativo a Dispositivi e Sistemi invece subisce un calo dell’1%, e prosegue il trend negativo dei Servizi di Rete TLC (-2,7%).

Digital Enabler e Transformer trainano la crescita futura

Se il progresso del mercato digitale è in parte frenato dalle componenti tecnologiche più mature, sarà invece trainato dai prodotti e servizi più innovativi, ovvero Digital Enabler e Transformer, il cui incremento medio annuo nel periodo 2022-2026 dovrebbe attestarsi sul 12,8%.
“Se la tendenza positiva del mercato digitale è chiara – prosegue Marco Gay – permangono tuttavia criticità, prima fra tutte la carenza di competenze digitali e l’eterogeneità nella diffusione delle tecnologie tra classi dimensionali di impresa e tra territori”.
Nel 2022 l’incremento degli investimenti nel digitale per le piccole imprese è del 2,5%, del 4,1% per le medie e del 5,9% per le grandi, a conferma della correlazione tra dimensioni aziendali e spesa digitale. 

PNRR e contesto economico due fattori significativi 

L’utilizzo delle risorse stanziate dal PNRR, insieme al contesto economico internazionale, rappresentano due fattori significativi che influenzeranno l’immediato futuro del mercato digitale.
Le stime relative ai tre anni successivi (2024-2025-2026) sono orientate a una crescita ancora più sostenuta, e si basano sull’ipotesi di un minore impatto dell’inflazione e su un maggiore impiego delle risorse economiche messe a disposizione dal PNRR per la digitalizzazione.
Si prevede pertanto una crescita media annua del mercato digitale del 4,5% nel periodo 2022-2026, fino a raggiungere quasi 92 miliardi di euro nel 2026.
“Un uso efficiente dei fondi messi a disposizione dal PNRR è il primo passo in questa direzione – aggiunge Gay – ma c’è bisogno di una politica industriale che promuova la competitività delle imprese, che aumenti la loro produttività e rafforzi la collaborazione all’interno della filiera”. 

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Nel 2026 cambio totale per operatività di un’azienda su quattro

Per un’azienda italiana su quattro il 2026 segnerà un cambio totale nell’operatività. Dopo il Covid le aziende italiane hanno già detto stop agli investimenti per lo smart working, e ora preferiscono puntare su innovazione e prodotto. La formazione poi è rivolta più a manager e dirigenti che non ai neo assunti. Sono queste le evidenze emerse dall’indagine condotta da Fòrema, ‘Strategie competitive e sviluppo delle competenze’, il sondaggio annuale sui fabbisogni aziendali nel 2023 che ha coinvolto centinaia di aziende, principalmente dell’area del Padovano e del Vicentino, molte del settore metalmeccanico.

Formare l’apice aziendale è prioritario rispetto al personale

Alle imprese è stato di individuare il livello di priorità con cui l’organizzazione intende mobilitare il proprio capitale cognitivo. Più della metà (53%) ritiene che investire nella formazione del personale abbia una priorità medio alta o alta (20%). In particolare per quanto riguarda il personale con ruoli di responsabilità (a cui un’impresa su quattro assegna priorità massima rispetto ai neo assunti), seguito dal personale operativo (21%). 
“Da quest’anno si registra anche la direzione generale e la proprietà dell’impresa come un target rilevante per l’implementazione delle strategie formative – commenta il direttore generale di Fòrema, Matteo Sinigaglia -. Nel 19% dei casi sono proprio queste figure imprenditoriali a evidenziare la priorità d’azione più alta”.

Stop a soft skills, sì a innovazione di prodotto e processi

Quanto alle aree e le funzioni aziendali che saranno maggiormente interessate da consulenze formative, gli interventi a supporto devono interessare gli uffici progettazione e sviluppo (22%), i processi produttivi (21%), l’area marketing e vendite (20%), la gestione dei sistemi informativi (19%).
Le aziende segnalano poi come particolarmente rilevanti per l’anno in corso innovazione del prodotto e dei processi (22%), digitalizzazione (21%), controllo di gestione (18%) e sviluppo dei collaboratori (16%). Escono dall’analisi i temi delle soft skills e dei modelli organizzativi smart, l’impatto ambientale della produzione, la sostenibilità sociale. E un’analisi pluriennale sulle priorità evidenzia una crescita per la digitalizzazione dei processi e delle attività.

Come sarà l’azienda fra tre anni?

Per le aspettative di medio periodo fino al 2026, legate alla trasformazione della propria organizzazione, prevale la consapevolezza che nel prossimo triennio le attività aziendali, e di conseguenza l’organizzazione, saranno cambiate rispetto alla situazione attuale. Solo il 35% non prevede cambiamenti sostanziali.
Anche se è sempre difficile fare previsioni, nel complesso il 58% converge verso uno scenario caratterizzato dall’aumento delle funzioni e delle attività aziendali, il 24% si aspetta un cambiamento radicale dell’azienda (era il 17% nel 2022) e il 30% ritiene che la struttura organizzativa sarà focalizzata su poche attività a valore.

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Pagamenti digitali: nel 2022 sfiorati 400 miliardi di transato 

Secondo i dati emersi dall’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano il transato con strumenti di pagamento digitale in Italia continua a crescere a doppia cifra. E nel 2022 raggiunge 397 miliardi, pari al 40% dei consumi, un valore che include sia i pagamenti basati su carte e wallet, pari a 390 miliardi di euro (+18% rispetto al 2021), sia i pagamenti basati su conto corrente, corrispondenti a 7 miliardi di euro di transato. La crescita generale si riflette su tutte le componenti, sia su quelle più tradizionali, come le carte, dove i pagamenti Contactless raggiungono 186 miliardi di euro (+45% sul 2021), sia sui nuovi metodi di pagamento, gli Innovative Payments, che registrano un valore di 20,3 miliardi (+107%), trainati da Mobile e Wearable.

Smartphone e Wearable: +122% rispetto al 2021

Nel corso del 2022, infatti, gli italiani hanno usato sempre di più smartphone o dispositivi indossabili per effettuare pagamenti in negozio, per un totale di 16,3 miliardi di euro di transato (+122% rispetto al 2021). Lo smartphone è inoltre centrale anche nelle sperimentazioni di nuove versioni delle valute di banca centrale, le cosiddette Central Bank Digital Currency (CBDC).
I progetti più avanzati in questo ambito sono concentrati nei Paesi Asiatici, ma anche l’Unione Europea ha avviato i lavori per implementare il cosiddetto Euro Digitale, e sta considerando lo sviluppo di un’app che ne permetta l’utilizzo in negozio, in modalità contactless o con QR code, e anche online.

Il Buy Now Pay Later vale il 4% del totale online 

Tra i servizi correlati al pagamento che stanno destando sempre più interesse tra i consumatori c’è sicuramente il Buy Now Pay Later (BNPL). La sua crescita ha caratterizzato il 2021 e si conferma anche nel 2022, contribuendo in maniera significativa all’incremento generale dei pagamenti digitali. Il 13% degli italiani ha dichiarato di avere già utilizzato questo tipo di servizio per uno o più acquisti online e/o in negozio, mentre il 33% è intenzionato a servirsene in futuro (67% se si considerano anche gli indecisi). Nel 2022 le transazioni BNPL hanno raggiunto i 2,3 miliardi di euro, con una crescita del +253% rispetto al 2021. L’86% del valore, inoltre, riguarda acquisti effettuati su Internet, un risultato che porta il BNPL a rappresentare circa il 4% di penetrazione nel mondo online.

Nel 2024 arriva l’European Union Digital Identity Wallet

A livello europeo cresce poi l’attenzione sui Digital Wallet, con particolare attenzione al tema dell’identità digitale come abilitatore, non solo, di pagamenti. La recente revisione del regolamento eIDAS ha proprio lo scopo di introdurre nel 2024 l’European Union Digital Identity Wallet (EUDI wallet), un insieme di servizi certificati che permette agli utenti di richiedere, conservare e condividere le informazioni personali per accedere ai servizi online e firmare documenti elettronici.

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Qual è la situazione finanziaria dell’Italia?

Qual è la situazione finanziaria dell’Italia in questo non facile momento storico?  La risposta è in un rapporto nuovo di zecca. L’Annual WIN World Survey 2022 fotografa, all’alba dell’inizio del nuovo anno, la situazione finanziaria e l’impatto di inflazione e crescita dei costi nella vita dei cittadini di 39 Paesi, sulla base di quasi 30.000 interviste. BVA Doxa, parte dell’Associazione promotrice WIN International, è responsabile della raccolta e analisi dei dati sull’Italia.

Perchè è aumentato il costo della vita?

Il costo della vita è aumentato a causa di diversi fattori, tra i quali la pandemia e crisi politiche ed economiche che hanno colpito diversi paesi del mondo. Su questo scenario, in Italia più che in altri Paesi la maggioranza mantiene uno stile di vita equilibrato, senza né eccessi né difficoltà (48% degli intervistati, dato che supera la media europea del 41% e quella globale del 36%).
Di conseguenza, è più ridotta la quota di chi vive senza preoccupazioni (21% in Italia vs 26% di media europea e 25% quella globale), mentre chi è in difficoltà ad arrivare a fine mese è il 28% (in linea con il 29% dell’Europa e meglio del 36% a livello mondiale). Paesi come la Germania mostrano una spaccatura più netta tra chi vive con agio (38%) e chi invece è in sofferenza (34)%. Rispetto all’Italia la situazione è leggermente migliore in UK e Francia, rispettivamente con il 27% e il 26% che dichiara di vivere serenamente, mentre il 29% e il 28% sono coloro che non riescono ad affrontare gli aumenti del carovita.

Come si riducono le spese?

Come conseguenza dell’aumento del costo della vita, ecco la riduzione delle spese, affrontata da quasi la metà (48%) degli intervistati in tutto il modo. Un altro 29% prevede di farlo nei prossimi mesi, mentre il 19% non prevede cambiamenti nel proprio stile di vita e consumo. Tra questi ci sono i più senior, che possono probabilmente contare sui risparmi: infatti il dato di coloro che non prevedono modifiche al budget delle spese sale al 21% per la fascia 55-64 anni e al 24% fra gli over 65.
In generale i cittadini e consumatori Europei sono sensibili al tema del contenimento delle spese: il 54% degli intervistati dichiara tagli negli ultimi mesi, mentre chi li prevede nei prossimi è il 24%. In linea anche l’Italia: a ridurre le spese sono stati il 49% degli italiani, mentre il 30% prevede di farlo.

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Calano le richieste di credito da parte delle imprese

Nel terzo trimestre 2022 il numero di richieste di credito presentate dalle imprese italiane ha segnato una flessione del -4,6% rispetto allo stesso periodo del 2021. La contrazione riguarda principalmente le imprese individuali, mentre le richieste provenienti dalle società di capitali restano sostanzialmente stabili. Quasi la metà delle richieste è stata presentata da imprese attive nel settore dei servizi e del commercio, ed è in decisa crescita l’importo medio richiesto. Si tratta delle principali evidenze emerse dall’ultimo Barometro CRIF, che analizza le istruttorie di finanziamento registrate in EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF.

Imprese individuali: -11,9%

La dinamica in atto riguarda principalmente le imprese individuali, che nel periodo preso in esame, fanno segnare un -11,9%, mentre le richieste provenienti dalle società di capitali si sono mantenute sostanzialmente stabili (-0,8%). Al contempo si riscontra una decisa crescita dell’importo medio richiesto, (+18,45%), che si attesta a 123.691 euro. Per quanto riguarda le imprese individuali, che rappresentano la spina dorsale del tessuto economico e produttivo nazionale, l’importo medio dei finanziamenti richiesti è risultato pari a 36.374 euro (-2,6% rispetto al corrispondente periodo 2021) contro i 163.891 euro delle società di capitali (+17,7%).

Richieste più elevate per Servizi e Commercio

Tra i settori caratterizzati da volumi di richieste di credito particolarmente elevati, al vertice si collocano i Servizi, quasi un quarto del totale (23,7%) malgrado una leggera flessione rispetto al III trimestre 2021 (-1,4%). Al secondo posto il Commercio (23,0%), a conferma di quanto l’erosione dei margini stia accentuando il bisogno di liquidità. Al terzo posto Costruzioni e Infrastrutture (17,9%), con un‘incidenza sul totale richieste in sensibile aumento rispetto al 2021 (+1,7 %). Questa dinamica riflette le prospettive creditizie previste in peggioramento, e l’esigenza di nuova finanza anche a causa del progressivo venir meno delle misure straordinarie che avevano sostenuto il comparto nel 2021.

Meno richieste per il settore farmaceutico

Il settore manifatturiero (10,9%) sta affrontando le criticità derivanti dalla difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e l’impennata dei costi dell’energia. Infatti, le imprese di questo settore dovranno iniziare a valutare piani di investimento per far fronte alla necessaria transizione ecologica e diminuire la dipendenza dai combustibili fossili. Nel complesso, i settori che presentano una minore incidenza sul totale delle richieste sono quelli caratterizzati da una ridotta numerosità di imprese attive sul territorio nazionale, e nel caso di quello farmaceutico, dalla capacità di generare cash flow per loro stessa natura gestendo beni di prima necessità.