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Economia

Salari: Italia fanalino di coda in Europa

Il clima è sempre più rovente attorno a Palazzo Chigi, e in attesa che il premier Mario Draghi convochi un tavolo con le parti sociali, i dati aiutano a capire la situazione dell’Italia, fanalino di coda in Europa per i salari più bassi e le retribuzioni dei dipendenti. I dati dell’Ocse sono sconcertanti: negli ultimi trent’anni l’Italia è l’unico paese in cui i salari annuali medi sono diminuiti, precisamente del 2,9%. Il paragone con i paesi europei segna una distanza enorme: in Germania i salari sono cresciuti del 33%, in Francia del 31%, in Belgio e in Austria del 25%, in Portogallo del 14% e in Spagna del 6%. Gli stati scandinavi registrano poi il +63% della Svezia, il +39 della Danimarca e il +32% della Finlandia.

Gli squilibri del mercato del lavoro colpiscono i giovani

Tra i più colpiti dagli squilibri del mercato del lavoro italiano ci sono sicuramente i giovani. Secondo Eurostat, la media annuale degli stipendi europei della fascia 18-24 anni è 16.825 euro, e in Italia è 15.858 euro. Peggio fa la Spagna (14.085 euro), ma Francia (19.482), Paesi Bassi (23.778), Germania (23.858) e Belgio (25.617) sono decisamente superiori. Quanto alla paga oraria complessiva dei lavoratori, gli italiani guadagnano in media 8 euro l’ora in meno rispetto a tedeschi e olandesi. E non è il costo del lavoro a penalizzare il nostro sistema: consultando i numeri del 2021 il costo medio orario del lavoro in Italia è di 29,3 euro, considerando salari, contributi e altre tasse, mentre in Germania è 37,2 euro, in Francia 37,9, in Olanda 38,3, e in Belgio 41,6 euro.

Cosa può fare il governo?

Al di là dell’aiuto da 200 euro nel cedolino di luglio per i redditi fino a 35mila euro e i bonus energetici già varati, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha ipotizzato di detassare i rinnovi, visto che il 40% dei lavoratori italiani ha il contratto scaduto. Una misura che potrebbe essere finanziata, ad esempio, con il prelievo una tantum proposto da Landini sui redditi alti, o alzando la tassa sugli extraprofitti delle società energetiche. I sindacati avevano messo sul tavolo l’idea di tassare tutte le tranche di salario legate ai rinnovi contrattuale con un’aliquota al 10%, anziché al 33%.

In Italia lavora solo il 58,2% della popolazione in età di lavoro

Secondo i dati Eurostat, infatti, in Italia lavora soltanto il 58,2% della popolazione in età di lavoro, contro una media europea del 68,4%, riporta Agenzia Dire.
Per il ministro della PA Renato Brunetta e il giuslavorista Michele Tiraboschi “la via maestra sui salari resta quella della contrattazione collettiva, dentro, però, un percorso di reale riforma degli assetti contrattuali e delle dinamiche retributive coerente con le recenti nuove trasformazioni del lavoro. In questo contesto si giustificano anche le misure di incentivazione della contrattazione di produttività e del welfare aziendale, che tuttavia possono e debbono essere rivisitate in termini di maggiore effettività”.

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Online

L’impatto del Metaverso sulla vita delle persone: cosa succederà?

Metaverso, Realtà Aumentata, Realtà Virtuale: sono tutti termini riferiti alla tecnologia ma che entrano sempre di più nella nostra vita quotidiana. E, specie negli ultimi mesi, si è parlato moltissimo di queste evoluzioni, in particolare del Metaverso. Ma quanto ne sanno gli italiani, e anche i cittadini di tutto il mondo, in merito a questa trasformazione? Per capirlo,Ipsos, in collaborazione con il World Economic Forum, ha condotto una nuova indagine sondando l’opinione dei cittadini in 29 Paesi del mondo -tra cui l’Italia- con l’obiettivo di comprendere il grado di conoscenza di questi concetti, il livello di entusiasmo per le nuove tecnologie e l’impatto che queste possano avere nella vita delle persone nel prossimo decennio.

Cosa cambierà nella vita quotidiana?

Tra le varie analisi, è particolarmente interessante quella riferita al Metaverso e all’impatto che questo avrà nella vita di tutti i giorni. Nonostante le differenze significative in termini di familiarità ed entusiasmo, l’opinione pubblica internazionale prevede ampiamente che vari tipi di applicazioni che utilizzano il Metaverso e la realtà estesa cambieranno in modo significativo la vita delle persone nel prossimo decennio. In particolar modo, gli italiani concordano sul fatto che -nel corso dei prossimi dieci anni- lo sviluppo delle seguenti app, che si basano sull’utilizzo delle nuove tecnologie, cambierà totalmente il modo in cui le persone vivono: 60% – Apprendimento virtuale (corsi, frequentare la scuola…); 56% – Risorse digitali per la salute (consulenze, consultazioni virtuali, chirurgia a distanza…); 55% – Intrattenimento digitale nella realtà virtuale (film, concerti…); 54% – Ambienti di lavoro virtuali (collaborazione virtuale, networking…); 49% Giochi virtuali (giochi di realtà aumentata, strumenti multiplayer…) e socializzazione virtuale (chat con amici/familiari, appuntamenti, incontri…); 43% Viaggi e turismo virtuali (replicare il mondo reale…); 38% Scambio di beni digitali (NFT, oggetti da collezione, criptovalute…). 

Fiducia nel futuro

Le aspettative sull’impatto delle applicazioni che si basano sul Metaverso variano anche in base al Paese e alle caratteristiche demografiche. In generale, circa la metà degli intervistati dichiara di conoscere il Metaverso (52%) e di provare sentimenti positivi nei confronti dell’utilizzo della realtà estesa nella vita quotidiana (50%). Per quanto riguarda il Metaverso, le differenze – anche quelle fra paese e paese – non sono così nette, il che suggerisce che – a prescindere dal fatto che lo si attenda o meno-  la maggior parte delle persone si aspetta che la propria vita venga profondamente influenzata dalle nuove tecnologie nei prossimi anni.

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Economia

Imprese: servono 350mila Cybersecurity manager

L’esigenza di figure professionali con un profilo legato alla gestione della sicurezza è sentita da tutte le organizzazioni, private e pubbliche. E il Cybersecurity manager, figura professionale che ha il compito di proteggere l’impresa dagli attacchi informatici, oggi è un profilo più che mai necessario, e dal grande futuro occupazionale. Ma secondo una ricerca, il 24% del nostro sistema produttivo ha difficoltà nel trovare questa competenza, ed entro quest’anno mancheranno 350mila professionisti. 
“Non è allora un caso – spiega Ernesto Barbone, legale specializzato nella sicurezza informatica – che l’Università statale di Milano, nella sua facoltà di Giurisprudenza, ha dato vita a un master in Cybersecurity. Gli spazi sono enormi e vanno riempiti assolutamente”.

Unire competenze di compliance normativo all’implementazione di misure di sicurezza

Il Cybersecurity manager unisce le competenze di compliance normativo (regolamento europeo protezione dati personali, diritto del lavoro, diritto commerciale e diritto penale) all’implementazione di misure di sicurezza idonee ad abbassare il rischio di possibili reati/incidenti all’interno della struttura.
“Si tratta di un elemento fondamentale, che permette di avere una visione legale sull’adeguamento tecnologico dell’azienda per far sì che la stessa non si veda danneggiata nella tenuta dei dati aziendali e nelle ripercussioni di bad reputation – continua Barbone -. La particolare conoscenza dei sistemi informativi dal punto di vista tecnico permettono di inquadrare lo scenario normativo a cui l’azienda va incontro, permettendo di implementare al meglio le contromisure legali idonee a scongiurare sanzioni o controlli”.

Pmi più esposte ai rischi informatici

Secondo un report dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, l’impatto economico della pandemia ha costretto le imprese italiane a fronteggiare le aumentate sfide di sicurezza con budget ridotti: il 19% ha diminuito gli investimenti in cybersecurity e solo il 40% li ha aumentati. Ma per il 54% l’emergenza è stata un’occasione positiva per investire in tecnologie, e aumentare la sensibilità dei dipendenti riguardo alla sicurezza e alla protezione dei dati. Eppure il 59% delle Pmi afferma che l’uso di device personali e reti domestiche ha esposto le aziende a maggiori rischi di sicurezza, e per il 49% sono aumentati gli attacchi informatici, riporta Askanews. Insomma, “quando le aziende affermano che al loro interno hanno già un legale – sottolinea Barbone -, non hanno ancora compreso che le competenze di quest’ultimo non bastano”. 

Il ruolo del PNRR

Ma ora c’è un elemento in più: il PNRR, che indica agli Stati membri di raccogliere categorie standardizzate di dati e informazioni, che consentano la prevenzione, l’individuazione e la repressione di gravi irregolarità, mediante un sistema di informazione e monitoraggio, estrazione di dati e valutazione del rischio reso disponibile dalla Commissione.
“Questo vuol dire – prosegue Barbone – che bisogna essere pronti a raccogliere la sfida e i relativi fondi messi a disposizione dall’Europa. Una sfida che per prima deve essere raccolta dalla Pubblica amministrazione, con i 623 milioni di euro messi a disposizione dal Piano. Soldi che serviranno a superare evidenti ritardi che l’Italia purtroppo lamenta”.

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Varie attualità

Stare bene è una questione vitale

Da oltre due anni stiamo vivendo un periodo funestato da emergenze sanitarie, e di recente, anche belliche, che inevitabilmente hanno inciso e tuttora incidono sulla qualità della vita. Ma per poter vivere con pienezza e soddisfazione la propria vita, ‘stare bene’ è una questione vitale. La flessione dell’indicatore raccolto nello studio Benessere, elaborato dalla piattaforma Knowledge Building di Eumetra, misura l’andamento relativo la benessere e soddisfazione degli italiani: nelle rilevazioni degli ultimi due anni, a fronte di una porzione sostanzialmente residuale di popolazione che si dichiara ‘pienamente soddisfatta’ della propria vita, peraltro in ulteriore contrazione, aumenta quella che assegna un valore di soddisfazione alla propria vita appena sufficiente, o al di sotto della sufficienza.

Le dinamiche sociodemografiche di un crescente disagio

Questa rappresentazione conterrebbe già di per sé indicazioni allarmanti, soprattutto a fronte del prolungarsi e dell’aggravarsi delle emergenze esterne generate nel corso del 2022. Occorre tuttavia approfondire, dal momento che i dati richiedono di prestare attenzione anche alle dinamiche sociodemografiche interne a questo disagio crescente. In primo luogo, il fenomeno risulta colpire in misura più significativa la popolazione femminile, già in partenza meno soddisfatta di quella maschile, che pur in flessione, si stabilizza su valori più alti. In un’ipotesi di proiezione futura che pare probabile, ovvero qualora l’edizione 2022 dello studio confermi la tendenza in atto, sarà necessario fare alcune riflessioni di carattere sociale ed economico.

Più giovani e anziani segnalano un livello di soddisfazione maggiore

La fascia di popolazione che risulta particolarmente interessata da questo progressivo ‘affaticamento’, è quella di età tra i 35 e i 55 anni, che registra in assoluto i valori peggiori di soddisfazione per la propria vita. Proprio quella che idealmente dovrebbe corrispondere a individui dalla massima capacità produttiva, reddituale, e di spesa. Al contrario, i più giovani e i meno giovani, in questo momento complicato, attribuiscono alla loro vita un livello di soddisfazione maggiore rispetto a quello assegnato da chi si trova nel ‘cuore’ della propria vita. Pur attraversando per ragioni totalmente diverse stagioni della vita caratterizzate da un’elevata incertezza nel futuro (per i più giovani difficoltà relazionali, e per i più anziani, problemi di salute), mostrano più resilienza rispetto alla fascia centrale di età.

Una condizione esistenzialmente critica

Si tratta di segnali di disagio crescenti, e rispetto ai quali si possono certamente ipotizzare diverse determinanti per le quali, allo stesso tempo, non sembrano disponibili almeno nell’immediato risposte o soluzioni dirette. Ecco perché Eumetra ha iniziato a ragionare dell’importanza dello stare bene.
‘Sentire’ di disporre al massimo delle proprie risorse, mentali, fisiche, affettive, sociali, e lavorative, è condizione per vivere il presente e progettare il futuro liberamente, secondo le legittime aspirazioni e negli ambiti concessi dalle situazioni individuali. Una condizione che riguarda tutti e allo stesso tempo ognuno, secondo le proprie individualità, situazioni, reazioni soggettive al contesto, ed è condizione esistenzialmente critica. Si fa cioè più importante, ma più complicata, in epoche caratterizzate da continue emergenze.

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Economia

Telefonia: per Internet e voce gli italiani spendono 303 euro l’anno 

Secondo Facile.it la spesa media per chi oggi opta per una linea voce con connessione Internet ADSL o Fibra è pari a poco più di 303 euro l’anno. E se invece si intende rinunciare a Internet e si sceglie la sola linea voce con chiamate illimitate? In questo caso, secondo Facile.it, il prezzo è pari a 232 euro l’anno. Ma è possibile anche scegliere un unico operatore per la linea fissa e il cellulare.
“Negli ultimi anni è cresciuta l’offerta di promozioni che associano alla linea di casa anche quella mobile – ha spiegato Mario Rasimelli, Mangani Director Utilities di Facile.it -. Scegliendo un unico operatore per fisso e mobile è possibile in alcuni casi ridurre notevolmente l’importo della bolletta, e per la sola telefonia fissa, il costo può addirittura scendere al di sotto dei 200 euro l’anno”.

Telefono fisso: ancora nelle case di oltre 26,5 milioni di italiani 

Molti lo considerano un oggetto di altri tempi, eppure secondo l’indagine commissionata da Facile.it agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, sono più di 26,5 milioni gli italiani che hanno ancora il telefono fisso in casa. Guardando all’uso che i nostri connazionali fanno del telefono fisso, l’indagine ha scoperto che oggi la sua funzione è almeno parzialmente, cambiata, o addirittura invertita rispetto a quella del telefono cellulare.

Un mezzo di comunicazione riservato a pochi intimi

“Chi continua a tenere in casa il fisso lo fa principalmente per ragioni di sicurezza in caso di emergenza (41%), o come mezzo di comunicazione riservato a pochi intimi (28%) – continua Rasimelli -. Insomma, un tempo i contatti stretti erano gli unici cui davamo il numero di cellulare, oggi sono i soli che possono raggiungerci anche quando il nostro smartphone è spento”.

Sono 17 milioni ad avere rinunciato a filo e cornetta

Analizzando le risposte su base socio-demografica emerge che il telefono fisso è presente in misura maggiore nelle case degli over 65 (78%) mentre, a livello territoriale, i più affezionati sono risultati essere i residenti al Sud e nelle Isole (64%). Cosa invece ha determinato la scelta di quei 17 milioni che hanno rinunciato a filo e cornetta? Nel 59% dei casi hanno scelto di eliminare il fisso per ragioni economiche, nel 45% per sostituirlo col cellulare, e nel 19% dei casi per non essere disturbati a casa dai call center.

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Economia

Pace o condizionatore? Gli italiani scelgono di… spegnere 

Oltre agli effetti della pandemia sull’economia italiana e mondiale, anche quelli della guerra in Ucraina hanno iniziato a ricadere pesantemente sugli italiani. Ma all’alternativa posta dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?”, la maggior parte dei nostri connazionali non ha dubbi, e sembra disposta a spegnere il condizionatore. Più in particolare, alla domanda posta da Draghi, il 73% degli italiani che posseggono un condizionatore ha dichiarato infatti di essere disposto a spegnerlo per tutta la durata dell’estate, se questa scelta potrebbe aiutare il Paese a raggiungere l’indipendenza dal gas russo.
Aiutare l’Italia a raggiungere l’indipendenza energetica dalla Russia
Si tratta di uno dei dati emersi dall’indagine commissionata da Facile.it agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat, e realizzata su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. Più in generale, l’indagine di Facile.it ha messo in evidenza che qualora il Governo lo richiedesse, il 56% degli intervistati sarebbe disposto a ridurre l’uso personale di energia elettrica e gas in casa propria. Questo, per aiutare l’Italia a raggiungere l’indipendenza energetica dalla Russia.

I più inclini a fare sacrifici sono gli over 65 e i più giovani

I più inclini a fare sacrifici, forse perché hanno già vissuto anni di austerity, sono risultati essere gli over 65, con il 60% di risposte positive, e i 55-64enni, con il 62%. Curiosamente, però, anche i giovani con età compresa tra i 18 e i 24 anni nel 59% dei casi hanno risposto positivamente, forse perché più attenti alle tematiche ambientali. Se quindi, da un lato, più di 21 milioni di cittadini italiani sono disposti a rinunciare al condizionatore, dall’altro 8 milioni hanno affermato di non essere disposti a fare questo genere di sacrificio.

Da quando è iniziato il conflitto in Ucraina si cerca di risparmiare sulle bollette

Ma qual è il motivo per il quale una quota di cittadini non è propensa a fare questo sacrificio? Secondo l’indagine di Facile.it, riporta Adnkronos, il 50% di chi ha dichiarato di essere contrario sostiene che “la scelta di staccarsi dal gas russo non dovrebbe gravare sulle famiglie”, mentre il 46% lo ritiene un sacrificio inutile. Qualcosa di concreto, in realtà, gli italiani sembrano averlo già fatto, tanto che 8 intervistati su 10 hanno dichiarato che da quando è iniziato il conflitto in Ucraina hanno cercato di consumare meno energia elettrica e gas, non fosse altro per risparmiare sulle bollette.
Questa, in particolare, la motivazione per il 67% degli intervistati.

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Economia

Cresce il ricorso al credito, ma migliora la sostenibilità finanziaria

Negli ultimi 6 anni gli italiani con almeno un contratto di finanziamento attivo sono aumentati in maniera graduale e costante, stimolati anche da condizioni di offerta e tassi appetibili, e da misure di politica monetaria e fiscale adottate a livello nazionale ed europeo particolarmente accomodanti per contrastare la crisi economico-finanziaria indotta dalla pandemia. Nonostante l’impatto del Covid-19, la sostenibilità finanziaria delle famiglie in questi anni è migliorata costantemente, come si evince non solo dagli indicatori relativi alla qualità del credito (il tasso di default è progressivamente sceso rispetto all’1,8% del 2016), ma anche dalla diminuzione della rata media rimborsata ogni mese (-12,5% dal 2016) e dall’esposizione residua per estinguere i finanziamenti in corso (-6,5% vs 2016).
Queste alcune evidenze emerse dalla Mappa del Credito, lo studio realizzato da Mister Credit-CRIF.

Nel 2021 +5,4% italiani con mutuo o prestiti

Di fatto, durante il 2021 la platea dei cittadini maggiorenni che risultano avere un mutuo o un prestito in corso è cresciuta del +5,4% rispetto al 2020, arrivando al 44,5% del totale. Questo, nonostante la tradizionale cautela degli italiani nel ricorrere al credito bancario per finanziare consumi o acquisto della casa. Si tratta di un trend di crescita iniziato nel 2016 e consolidato negli ultimi due anni, caratterizzati da condizioni di accesso al credito particolarmente favorevoli anche per finanziamenti di modesto importo.

Il tasso di default si attesta all’1,2%

Se da un lato aumenta il ricorso al credito, al contempo, però, è migliorata la sostenibilità finanziaria delle famiglie italiane, con il rischio di credito che nella rilevazione 2021 ha visto il tasso di default attestarsi all’1,2%, il livello più basso degli ultimi anni. A questo risultato hanno contribuito, oltre alle moratorie e agli strumenti di sostegno attivati per contenere gli impatti negativi della pandemia, anche l’atteggiamento responsabile delle famiglie e i tassi di interesse confermati dalla BCE ai minimi storici.

Rata media rimborsata -2,8%

Alla luce di questo, la rata media rimborsata a livello pro-capite ogni mese è scesa ancora, fino ad arrivare a 315 euro (-2,8% rispetto al 2020), mentre l’importo residuo che resta da rimborsare per estinguere i finanziamenti in corso si è attestato a 32.191 euro, in lieve flessione rispetto al 2020, malgrado il peso ancora rilevante dei mutui ipotecari, che continuano ad avere un’incidenza significativa nel portafoglio delle famiglie italiane.

Alcune incertezze per il futuro
“Nel corso dell’ultimo anno i flussi di credito erogato alle famiglie sono cresciuti in modo significativo per riportarsi sui livelli non troppo distanti da quelli pre-Covid – commenta Beatrice Rubini, Direttore della linea Mister Credit di CRIF -. Nel complesso la sostenibilità degli impegni finanziari da parte delle famiglie si è confermata elevata, ma per il prossimo futuro bisognerà valutare gli impatti derivanti dall’evoluzione della pandemia, dall’incertezza causata dal conflitto in Ucraina nonché dalla crescita dei costi dell’energia e delle materie prime oltre che dei tassi di interesse”.

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Economia

Export Lombardia: il 2021 chiude a 135,9 miliardi

L’export delle imprese lombarde chiude il 2021 con la cifra record di 135,9 miliardi di euro, e supera il massimo storico del 2019, quando l’export regionale toccò i 127,5 miliardi di euro.
Unioncamere Lombardia ha pubblicato il Rapporto sul commercio estero della Lombardia nel quarto trimestre e il consuntivo 2021. E a quanto emerge dal rapporto il dato tendenziale è positivo in tutte le provincie lombarde e per tutti settori. Anche nel quarto trimestre l’attività delle imprese manifatturiere lombarde si è mantenuta su buoni livelli, nonostante i problemi riscontrati sul lato delle forniture e dei prezzi di materie prime ed energia. Una domanda estera ancora vivace, quindi, che nonostante i primi segnali di rallentamento ha consentito all’export lombardo di crescere del +10,2% rispetto al trimestre precedente. Secondo Unioncamere Lombardia, occorre però considerare come i consistenti incrementi in valore siano legati alla dinamica dei prezzi, caratterizzata da sensibili aumenti nel corso di tutto il 2021.

Si conferma l’effetto prezzi sull’incremento dei dati in valore

L’analisi dell’andamento delle quantità scambiate conferma l’effetto prezzi sull’incremento dei dati in valore. L’export per le quantità, con una crescita congiunturale del 3%, non tocca infatti i massimi e rimane dell’1,7% sotto i livelli 2019. Il comparto legato ai metalli e alle loro produzioni si conferma forte motore della ripresa (+34,3% rispetto al 2020) con effetti positivi sulla performance della maggior parte delle provincie. Rispetto al 2019 risultano in forte crescita anche prodotti alimentari (+13,8%), sostanze e prodotti chimici (+12,7%) e computer e apparecchi elettronici (+12,2%). Positivi anche gomma e materie plastiche (+9,1%), e mezzi di trasporto (+2,0%).
In linea con il risultato pre-crisi, articoli farmaceutici (+0,7%) e tessili, pelli-calzature e accessori (+0,4%). Non riescono, invece, a recuperare sul 2019 macchinari e apparecchi (-1,4%).

Incrementi a due cifre rispetto al 2019 per molti paesi di destinazione

Secondo il Rapporto l’incremento rispetto al livello pre-crisi del valore esportato verso tutte le destinazioni è del +7,5%. I flussi verso molti dei principali paesi di destinazione delle merci lombarde registrano incrementi a due cifre rispetto al 2019 per Turchia, +23,5%, Cina, +23,4%, Brasile, +20,1%, Regno Unito, +18,2%, Israele, +14,4%, Germania, +10,1%.  A questi si contrappongono le perdite verso l’Algeria (-30,2%) e Hong Kong (-13,2%). Negativo anche il risultato verso la Russia (-3,8%) nonostante un 2021 in recupero rispetto al 2020 (+14,0%).
La Russia si pone al quattordicesimo posto tra le destinazioni, con una quota dell’1,6%. Nel 2021 la Lombardia ha esportato beni per poco meno di 2,2 miliardi di euro verso la Russia e ne ha importati 1,6 miliardi, con un saldo positivo di 572,4 milioni.

Quasi tutte le province superano i livelli pre-crisi

Quasi tutte le province superano i livelli 2019, grazie principalmente all’export di metalli base e prodotti in metallo (Brescia, Cremona, Lecco, Mantova, Sondrio), sostanze e prodotti chimici (Bergamo), articoli farmaceutici (Monza e Brianza e Varese), computer e apparecchi elettronici (Lodi), prodotti tessili e abbigliamento (Milano). Solo due province lombarde, pur crescendo rispetto all’anno scorso, scontano ancora un gap rispetto al 2019: Pavia (-8,4%) per la quale pesa il -80% dell’export di prodotti tessili, abbigliamento, pelli-calzature e accessori rispetto al 2019, e Como (-0,5%), con una riduzione del 19% nella stessa categoria di prodotti.

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Economia

Lavoro e pandemia, dominano insicurezza e incertezza

Nei mesi tra prima e seconda ondata del coronavirus il rapporto curato da Lavoro&Welfare e lo Studio Labores sull’occupazione ha rilevato un livello di incertezza sul futuro e insicurezza sociale connessa al lavoro molto elevata. Solo meno del 20% degli intervistati si dichiarava del tutto sicuro e al riparo dai rischi connessi al lavoro. Non è una novità: almeno a partire dalla ‘grande recessione’ del 2008 l’Italia è attraversata da un’ansia e un’insoddisfazione sociali molto ampie e destinate a non essere scalfite nel tempo.
“La pandemia – commenta Mimmo Carrieri, docente di Sociologia economica e Sociologia delle relazioni di lavoro all’Università La Sapienza – ha comportato un rimescolio profondo nel senso del lavoro e nel vissuto dei lavoratori, ancora non concluso e che attende di essere tradotto in indirizzi nuovi nelle politiche pubbliche e nei comportamenti degli attori sociali”.

Il costo della crisi

Il sentimento collettivo d’insicurezza resta dunque molto radicato, ed è connesso non solo alla precarietà lavorativa, ma rende conto di un’estesa vulnerabilità sociale che attraversa una parte rilevante dei lavoratori.
“Se a inizio 2021 potevamo misurare il costo della crisi dovuta al coronavirus in quasi un milione di occupati, a fine anno verifichiamo che tale costo si è attestato attorno alle 300.000 unità”, continua Carrieri.
Secondo i dati del rapporto, l’Italia, sia nel secondo sia nel terzo trimestre 2021, ha evidenziato però una dinamica migliore della media della zona Euro, rispettivamente + 1,4% e +1,2% contro +1,2% e +1,0%, e dei Paesi assunti a confronto, Germania, Polonia, Francia, Spagna.

Il rientro dalla Cassa integrazione

“Quanto ai dipendenti permanenti, i dati mostrano che nel secondo semestre 2021 si sono assestati praticamente sullo stesso livello del 2019, ma non si tratta tanto di un recupero trainato dalla creazione di nuovi posti di lavoro quanto della riattivazione, in buona parte, di posti pre-esistenti grazie al rientro di molti lavoratori dalla Cassa integrazione”, aggiunge Carrieri.

Anche per i dipendenti a termine il recupero ha permesso di ritornare a partire da settembre 2021 sui valori del 2019. Non si tratta quindi di una nuova crescita della precarietà, ma del recupero di un livello analogo a quello raggiunto in precedenza a ridosso della pandemia, riferisce Italpress.

Lavoro a tempo determinato vittima del blocco dei licenziamenti

Per quanto riguarda i lavoratori indipendenti, il trend di contrazione è stato congiunturalmente accelerato dalla pandemia in coincidenza del periodo del primo lockdown. Poi è proseguito, “pur con un’intensità via via più modesta, senza finora mettere in evidenza alcun segnale di recupero delle posizioni pre-pandemiche”, sottolinea Carrieri.
Secondo Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e presidente di Lavoro&Welfare, “il lavoro a tempo determinato è stato vittima del blocco dei licenziamenti che ha riguardato esclusivamente il lavoro stabile. Una diminuzione prevedibile alla quale è seguito, nei mesi recenti, una ripresa che lo colloca al livello del 17% del totale dell’occupazione dipendente”.

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Online

Italiani e Internet, tutti on line via mobile

Gli italiani sono (quasi) tutti on line. A dichiararlo è Audiweb, che ha appena diffuso i dati relativi dati alla total digital audience del mese di dicembre 2021. In estrema sintesi, dalle rilevazioni si scopre che nell’anno passato la total digital audience ha raggiunto il 74,5% della popolazione dai 2 anni in su nel mese medio (+2,2% rispetto alla media del 2020), pari a una media di 44,3 milioni di utenti unici collegati dai device rilevati. La fruizione da Mobile (Smartphone e/o Tablet) ha raggiunto un livello di concentrazione dell’89,8% della popolazione di 18-74 anni, con 39,1 milioni di individui che si sono collegati mensilmente in media nel 2021 da questi device.  
Rispetto al 2020 la fruizione di internet nel giorno medio ha registrato un incremento dell’8,2%, con un uso nel quotidiano ancora in crescita tramite Mobile che raggiunge il 77,5% della popolazione tra i 18 e i 74 anni (+12,8%) e di quasi il 90% nel mese medio.

Dove si naviga di più 

Il documento presenta anche le prime cinque categorie di siti e applicazioni più visitati in media mensilmente nel 2021.  Sono le categorie che raggruppano i motori di ricerca (Search) con 41,5 milioni utenti unici mensili, i servizi e strumenti online (Internet Tools / Web Services) con 39,6 milioni di utenti unici in media, le piattaforme e siti di video e cinema (Video / Movies) con 38,8 milioni di utenti unici, i portali generalisti (General Interest Portals & Communities) con 38,6 milioni di utenti, i Social Network (Member Communities) con 38,5 milioni di utenti, le testate di informazione online (Current Events & Global News) con 38,1 milioni di utenti.  Presentano elevati valori di audience media mensile anche le categorie che raggruppano i siti e le piattaforme di e-commerce di largo consumo (Mass Merchandiser) con 32,2 milioni di utenti unici in media nel 2021, i siti governativi (Government) con 30,1 milioni di utenti e i siti dedicati alla salute e al benessere (Health, Fitness & Nutrition) con 29,9 milioni di utenti.

I numeri di dicembre

Riferito a dicembre 2021, a total digital audience del mese è rappresentata da 44,6 milioni di persone, il 75,6% della popolazione dai due anni in su. Il 90,3% della popolazione maggiorenne ha navigato da Mobile per 55 ore e 35 minuti in media. Sono stati 36,4 milioni gli individui che hanno navigato almeno una volta nel giorno medio, online per 2 ore 18 minuti in media per persona. La fruizione di internet da Mobile nel giorno medio ha riguardato il 76,7% della popolazione tra i 18 e i 74 anni (33,1 milioni), online in media per 2 ore e 7 minuti per persona.

Più uomini che donne

Per quanto riguarda la distribuzione per genere, nel giorno medio a dicembre erano online il 63,4% degli uomini e il 59,7% delle donne e, per quanto riguarda i vari segmenti della popolazione che hanno navigato almeno una volta nel giorno medio dai device rilevati (Computer e Mobile) ritroviamo l’82,1% dei 18.24enni, l’83,9% dei 25-34enni, l’86,9% dei 35-44enni, l’85% dei 45-54enni e il 79,3% dei 55-64enni, mentre gli over 64enni si mantengono su una quota pari al 39,2%.