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Economia

Bilancio positivo per l’agroalimentare. Un settore che sa fare sistema


Nonostante la pandemia, il settore agroalimentare italiano segna buoni risultati, anche grazie alla spinta di oltre 55.000 nuove aziende guidate da under 35, caratterizzate dalla propensione all’innovazione.Il primo appuntamento con gli Stati Generali sul mondo del lavoro di Agrifood fa emergere anche la capacità del settore di fare sistema, nel rispetto delle differenze e delle tipicità che caratterizzano il nostro paese. Altrettanto chiare però le criticità del settore, come costo del lavoro, burocrazia per l’impiego, e assenza di manodopera. Non ultima area di rischio, la tendenza comunitaria all’omologazione, direzione opposta rispetto alle tipicità che fanno dell’agroalimentare italiano un’eccellenza mondiale. L’auspicio comune è quindi quello di ottenere, nell’ambito della distribuzione dei fondi previsti dall’Europa e dal PNRR, la giusta attenzione al settore, soprattutto nella direzione della sostenibilità e della digitalizzazione.

Un settore che da contadino è diventato imprenditoriale

“Forse per qualcuno è inatteso, ma lo scenario dell’agroalimentare italiano è molto positivo: i fondamentali sono robusti, pur nella vasta articolazione di modelli, competenze e specializzazioni che costituiscono la nostra ricchezza – spiega Lucio Fumagalli, presidente INSOR Istituto Nazionale di Sociologia Rurale -. Qui l’Italia sa fare sistema: dalla cultura del seme fino agli aspetti distributivi o di packaging, il settore dimostra la capacità di interconnettere le filiere”. Quanto al contributo dei giovani imprenditori alla ‘demarginalizzazione’ culturale dell’agroalimentare, attraverso le competenze apprese negli studi e applicate nell’attività aziendale i giovani hanno dato nuova dignità a un settore che da contadino è diventato a pieno diritto imprenditoriale.

Ma il costo del lavoro è troppo alto

Il settore agroalimentare ha continuato a lavorare durante i lockdown consentendo l’approvvigionamento, mantenendo i livelli occupazionali e utilizzando molto poco gli ammortizzatori sociali.
“Ma è comunque nel lavoro il nodo da superare – afferma Luca Brondelli, membro della giunta esecutiva di Confagricoltura -. Il costo del lavoro è troppo alto in termini economici e di fatica burocratica. I centri per l’impiego non funzionano, le regole sono sempre più complesse e macchinose, la stessa legge sul caporalato prevede sanzioni pesanti alla minima svista. Inoltre, la pandemia ha ridotto l’accesso di lavoratori stranieri e il reddito di cittadinanza ha tagliato le gambe all’offerta di manodopera italiana”.

“Dobbiamo lavorare per la sostenibilità delle nostre eccellenze”

Secondo Fabiano Porcu, direttore Coldiretti Cuneo, “l’omologazione è il vero nemico delle nostre eccellenze che trovano origine proprio nelle tipicità. In rapporto alla Francia siamo a 1.500 tipologie di nostri vini contro 150 delle loro –  aggiunge Porcu -. Dobbiamo lavorare per la sostenibilità delle nostre eccellenze. Ma occorre anche un po’ di reciprocità. Se la produzione agroalimentare in Italia è sottoposta a regole stringenti, come è giusto che sia, così deve essere anche negli altri Paesi dell’Unione Europea. Altrimenti avremo tanti altri casi Prosek. L’italian sounding – sostiene Porcu – è uno dei problemi. Il nostro export vale 52 miliardi di euro a fronte di 100 miliardi in prodotti che sembrano/suonano italiani, ma non lo sono”.

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Economia

Gli italiani e il Phygital, la nuova prospettiva del retail

Gli italiani rivedono il proprio rapporto con lo shopping, guardando sempre più al phygital, l’esperienza di acquisto ibrida che coniuga le modalità tradizionali dell’offline con le novità portate dall’online e dal digitale.Se da un lato è stata sofferta la mancanza dell’aspetto più sociale dello shopping il canale digitale è riuscito a fare fronte ai bisogni dei consumatori, portando novità e servizi ormai irrinunciabili. Quanto al futuro, ci sono ampi margini di miglioramento, soprattutto se le esperienze phygital sapranno diventare sempre più emozionanti. È quanto emerge da ‘Phygital Shopping Experience: opportunità per i retailers per incrementare loyalty e sales’, la ricerca in ambito retail di BVA Doxa in collaborazione con Salesforce sulle esperienze di acquisto phygital.

Quando canale fisico e digitale si intersecano

Molti, infatti, sono gli esempi in cui canale fisico e digitale sono andati intersecandosi, come, ad esempio, con la prenotazione o l’acquisto del prodotto online e il successivo ritiro in negozio o la consegna a casa. In diversi casi, inoltre, sono stati i negozianti stessi, non presenti online, a trovare soluzioni e proporre servizi che permettessero di interagire con il proprio negozio, mantenendo il contatto con la propria clientela. Queste, così come la possibilità di prenotare il proprio posto in coda o l’aumento dei sistemi di pagamento digitali e contactless, sono state accolte positivamente, tanto da desiderare che vengano mantenute anche in prospettiva. Nell’ultimo anno oltre tre italiani su quattro (74%) hanno fatto acquisti con modalità phygital. In particolare, per l’abbigliamento (28%), l’elettronica (24%) e il comparto del beauty (21%).

Obiettivo omnicanalità

Tra gli store fisici, i supermercati e i negozi di abbigliamento sono le categorie dove con maggiore frequenza si adottano le modalità phygital. Ma se in tanti settori il phygital si sta ritagliando uno spazio sempre più importante, allo stato attuale i percorsi per rendere ottimale l’esperienza del cliente vanno ancora perfezionati. Deve infatti ancora concretizzarsi una reale omnicanalità tra offline e online, dal momento che ancora il 22% di chi visita il negozio compra online altrove, magari attratto da offerte più convenienti trovate in rete.

Personale di vendita “reale” o assistenti virtuali?

In questo processo di ibridazione, i consumatori italiani si dividono sull’affiancamento di assistenti virtuali al personale di vendita ‘reale’. Il personale di vendita reale è centrale a patto però che costituisca un valore aggiunto soprattutto in termini di competenza. È comunque consistente (52%) la quota di chi vede positivamente l’affiancamento di assistenti virtuali, e a essere più favorevoli sono soprattutto i giovani uomini, mentre decisamente meno le donne. In ogni caso, se gli strumenti digital permettessero al personale di vendita di identificare i clienti e conoscerne le preferenze, i consumatori italiani si direbbero felici, soprattutto perché potrebbero ottenere consigli su prodotti e servizi specifici (48%). Tuttavia, resta ancora centrale il nodo della privacy: il 59% è preoccupato per la salvaguardia dei propri dati sensibili.

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Economia

L’innovazione passa anche dalla Pec: la digitalizzazione delle Pmi italiane

Anche le piccole e medie aziende hanno voglia di innovazione tecnologica, tanto che il 60% di quelle italiane è attenta verso questa tematica. Lo afferma una recentissima analisi condotta da Aruba, il principale cloud provider italiano, e Idc, società mondiale specializzata in market intelligence, servizi di advisory e organizzazione di eventi nell’ambito digitale e Ict, che ha voluto esplorare il “livello di digitalizzazione raggiunto dalle piccole e medie imprese italiane e comprendere come uno tra gli strumenti cardine della digital transformation, ossia la Pec, le stia supportando in questo percorso”.

Il 71.6% delle imprese fino a 20 dipendenti è attenta all’innovazione

Qualche dato particolarmente interessante che fa emergere la dinamicità anche in ambito digital delle piccole imprese: il 60,5% delle Pmi da 1 a 5 addetti, infatti, si dichiara attenta verso l’innovazione. L’indagine rivela una particolare attenzione soprattutto all’interno delle Pmi più strutturate, che contano cioè tra 6 e 20 addetti, che si dicono “molto attente” sul tema nel 71.6% dei casi. Dallo studio – che mostra l’evoluzione delle Pmi e la crescita di digitalizzazione grazie alla Pec, laPosta Elettronica Certificata – emergono inoltre altri dati positivi: il 60% delle aziende coinvolte si adatta con rapidità a nuovi modi di lavoro basati sul digitale ed il 75% si focalizza sulla ricerca di nuove soluzioni per migliorare il proprio lavoro quotidiano. 

Il cambiamento non fa più paura

Un altro elemento chiave evidenziato dalla ricerca, che ha coinvolto un campione di 300 piccole e medie imprese nei diversi comparti – industria, commercio, finanza, servizi professionali, servizi alle persone e Pubblica Amministrazione locale, è che il cambiamento non fa paura. Un’ottima notizia, considerato che le Pmi nel nostro paese sono circa 200.000, come certificano i dati Istat. “Il cambiamento non fa più paura come prima: quasi l’85% del mercato preso in esame nella survey esprime una sostanziale apertura rispetto al tema dell’innovazione” afferma Gabriele Sposato, Direttore Marketing di Aruba. “La repentina necessità di digitalizzazione dovuta all’emergenza sanitaria ha fatto crescere tra le Pmi la consapevolezza legata all’importanza di strumenti innovativi per affrontare il proprio lavoro ed è solo il 15% ad esprimere qualche riserva al cambiamento, ancora prima cha all’innovazione”.

L’utilizzo della Pec

In dettaglio, la Pec è stata ritenuta importante per la digitalizzazione della propria impresa da oltre l’80% degli intervistati. Non solo, l’indagine ha evidenziato come il 98,5% delle aziende usa la Pec in modo continuativo, con una interessante frequenza di utilizzo: l’82% ne fa uso almeno una volta alla settimana. Le aziende che appartengono ai settori finanza, Pubblica Amministrazione locale e commercio sono quelle che dichiarano un utilizzo più frequente; al contrario, industria e servizi (professionali e alla persona) sono i settori con una frequenza di utilizzo leggermente inferiore.

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Statistiche

La felicità e il benessere? Te li regala il cucciolo di casa

Il lockdown sarebbe stato molto più duro senza Fido o Micio. Ne sono convinti gli italiani, moltissimi, che condividono vita e spazi con un animale domestico. E’ questo il primo dato che emerge dal sondaggio che Federchimica Aisa ha realizzato in collaborazione con Swg per comprendere a fondo la natura del rapporto che lega gli italiani ai 60 milioni di animali domestici presenti in Italia. In particolare, il periodo più severo delle restrizioni è stato confortato proprio dalle presenza di cani e gatti, considerati preziosi dall’80% dei rispondenti. In generale, un animale da compagnia in famiglia viene visto come un importante contributo alla salute psicologica e un supporto allo sviluppo dei bambini.

Un italiano su due ha un animale 

La ricerca ha messo in luce che ben un italiano su due possiede un animale domestico. Il 67% degli intervistati ha dichiarato di aver accolto in casa un pet per avere compagnia, e la percentuale sale ancora di più (73%) tra gli individui che non hanno figli. Insomma, cani, gatti,, criceti e furetti diventano a tutti gli effetti dei veri e propri membri della famiglia e così sono considerati da oltre il 90% del campione. Tra gli animali da compagnia, è il cane quello preferito dal 62% dei rispondenti, mentre il gatto ha un gradimento che tocca il 55%. Infine, una buona percentuale di italiani – il 27% – ha scelto di condividere la propria esistenza con specie più originali, come pesci, volatili, roditori e animali esotici come serpenti e iguane.

Questione di affetto

“L’essere umano nasce con un forte desiderio di relazione con gli animali, basti pensare ai bambini. Gli animali compaiono nei fumetti, nelle fiabe, nei giocattoli e da adolescenti i supereroi hanno di nuovo caratteristiche animali come Batman o Spiderman” ha precisato l’etologo Roberto Marchesini. “Tutto questo ci fa capire che l’essere umano è affascinato dal mondo animale e quindi forse in questo periodo semplicemente c’è un maggior interesse verso l’aspetto affettivo, forse ricerchiamo negli animali qualcosa che non abbiamo e che ci manca”. Qualunque sia la ragione, gli italiani hanno stretto negli anni un legame sempre più stretto con gli amici a quattro zampe, percepiti come “portatori” di felicità, allegria e benessere. Mai senza un compagno a quattro zampe, quindi.

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Statistiche

Italiani e social, siamo gli ultimi d’Europa

Sorprende davvero questo “verdetto” di Eurostat: in Europa, siamo gli ultimi in termini di utilizzo delle piattaforme di social network. Alzi la mano invece chi non ha la sensazione che tutti i nostri connazionali, in particolare modo le nuove generazioni, siano sempre incollarti ai loro device a controllare post, immagini e video sui principali social, come Facebook, Instagram, TikTok e affini. Invece siamo lontanissimi dall’essere dei veri e propri social addicted, battuti in classifica addirittura da paesi come la Turchia.

Perché siamo i fanalini di coda: in primis la rete è…

A stilare la classifica dei popoli più affezionati alle varie app social è Eurostat nel suo “Regional yearbook 2021 edition”, che ha analizzato chi e dove si collega di più. Il fatto che gli italiani non siano dei fan così accaniti, però, non è da attribuire a un cambiamento culturale, ma principalmente al ritardo nella connessione soprattutto in alcune zone del Paese, ovvero diverse aree del Sud e delle Isole. Resta però la sorpresa che in base ai dati noi ci collochiamo in coda alla classifica con la minor partecipazione ai social network, ovvero il 48%.

Metà degli europei partecipa ai social network

I dati di Eurostat certificano che più della metà della popolazione adulta nella zona Ue (il 57%) ha partecipato ai social network. Il tasso di partecipazione per i giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni (87%) è stata quasi quattro volte superiore al tasso corrispondente agli anziani di età compresa tra i 65 e i 74 anni (22%). In questo scenario, però, non mancano ulteriori sorprese: durante l’ultimo quinquennio (il 2015-2020 per il quale sono disponibili i dati) la quota di giovani che partecipano ai social network è cambiata poco o nulla. Invece, e sta qui la novità, la percentuale di persone anziane che utilizzano queste piattaforme è quasi raddoppiata nello stesso periodo. 

I più social? Islandesi, norvegesi e danesi 

A questo punto resta da scoprire chi si piazza ai primi posti della classifica europea relativa alla penetrazione dei social. Al primo posto c’è l’Islanda (94%), seguita da Norvegia (88%) e Danimarca (85%), specifica l’Ansa. Le ampie differenze nei tassi di partecipazione ai social sono in parte legate al fatto che le persone siano o meno connesse a Internet, in zone che Eurostat definisce “regioni prevalentemente rurali o ultraperiferiche”. Considerati i dati relativi all’Italia, siamo decisamente indietro per quanto riguarda la connessione alla rete. 

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Online

I lettori stanno imparando a riconoscere le fake news

I lettori comuni stanno imparando a distinguere le notizie vere da quelle false. Social media e giornali utilizzano fact-checker per distinguere le notizie vere e false, ma il loro lavoro può essere parziale. Uno studio del MIT, pubblicato su Science Advances, suggerisce un approccio alternativo, che utilizza gruppi relativamente piccoli e politicamente equilibrati di lettori laici per valutare i titoli e condurre frasi di notizie. La capacità di giudizio fornita da gruppi di lettori normali può infatti essere efficace quanto il lavoro dei fact-checker professionisti. L’esperimento ha coinvolto 1.128 residenti negli Stati Uniti utilizzando la piattaforma Mechanical Turk di Amazon.

Sono state esaminate 200 notizie

Lo studio ha esaminato oltre 200 notizie che gli algoritmi di Facebook avevano segnalato per un controllo, e le valutazioni medie dei lettori si avvicinavano molto alle valutazioni dei fact-checker professionisti.
“Questi lettori non sono stati addestrati al fact-checking e stavano solo leggendo i titoli e le frasi iniziali, e anche così sono stati in grado di eguagliare le prestazioni dei fact-checker”, affermano i ricercatori. I partecipanti all’esperimento hanno anche svolto un test di conoscenza politica e un test della loro tendenza a pensare in modo analitico. Nel complesso, le valutazioni delle persone meglio informate sulle questioni civiche e impegnate in un pensiero più analitico erano più strettamente allineate con i fact-checker, riporta AGI. 

Pochi lettori eguagliano le prestazioni dei verificatori di fatti professionisti

“Non c’è niente che risolva il problema delle notizie false online – afferma David Rand, professore al MIT Sloan e coautore senior dello studio. Ma stiamo lavorando per aggiungere approcci promettenti al kit di strumenti anti-disinformazione”.
Sebbene all’inizio possa sembrare sorprendente che una folla di 12-20 lettori possa eguagliare le prestazioni dei verificatori di fatti professionisti. In un’ampia gamma di applicazioni è stato riscontrato che gruppi di laici eguagliano o superano le prestazioni dei giudizi degli esperti. L’attuale studio mostra che ciò può verificarsi anche nel contesto altamente polarizzante dell’identificazione della disinformazione.

Meccanismi di partecipazione

La scoperta potrebbe essere applicata in molti modi e alcuni colossi dei social media stanno attivamente cercando di far funzionare il crowdsourcing. Facebook ha un programma, chiamato Community Review, in cui vengono assunti laici per valutare i contenuti delle notizie, e Twitter ha un proprio progetto, Birdwatch, che sollecita il contributo dei lettori sulla veridicità dei tweet. La ‘saggezza delle folle’ può essere utilizzata sia per aiutare ad applicare etichette ai contenuti rivolti al pubblico, sia per informare gli algoritmi di classificazione e quale contenuto viene mostrato alle persone. A dire il vero, osservano gli autori, qualsiasi organizzazione che utilizza il crowdsourcing deve trovare un buon meccanismo per la partecipazione dei lettori. Se la partecipazione è aperta a tutti, è possibile che il processo di crowdsourcing possa essere ingiustamente influenzato dai ‘partigiani’.

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Economia

Superbonus 110%, gli interventi vanno a rilento. Ecco perché e le possibili soluzioni

A poco più di un anno dalla sua introduzione, il Superbonus 110% sembra mostrare segni di disamoramento da parte dei cittadini. Eppure l’incentivo che agevola gli interventi di efficientamento energetico e sismico per le abitazioni degli italiani è un’iniziativa assolutamente lodevole e vantaggiosa per tutti. Però, nonostante la bontà del bonus, appare evidente che esistano delle criticità, ben rilevate da 110%Monitor – il nuovo Osservatorio Nomisma sulle operazioni di riqualificazione energetica e sismica soggette al Superbonus – che fornisce aggiornamenti trimestrali sull’andamento di questa iniziativa. Come spiega una nota, “Nomisma sostiene fortemente il Superbonus 110%, tuttavia ritiene che vadano corretti alcuni passaggi per renderlo realmente efficiente. Attualmente, infatti, gli interventi asseverati stanno crescendo più lentamente rispetto alle aspettative, emerge un senso di rassegnazione da parte delle famiglie a fronte delle incertezze normative, e i condomìni – i principali destinatari di questa iniziativa – hanno delle difficoltà ad attivarsi”.

Cosa c’è che non va

Le principali problematiche sono rappresentate dall’incertezza sulle decisioni normative e l’inadeguatezza delle informazioni a disposizione degli operatori. Ulteriori criticità sono, inoltre, le difficoltà riscontrate dalle imprese a causa dell’aumento dei prezzi e dal fatto che anche abusi di minima entità possono impedire l’avvio delle operazioni. Per queste ragioni, si è registrato un calo del numero di famiglie potenzialmente interessate all’iniziativa, passate dai 10,5 milioni di maggio 2020 ai 9 milioni di giugno 2021. Resta poi il nodo della territorialità: gli interventi si concentrano in alcune  Regioni più pronte, come Lombardia, Veneto, Lazio ed Emilia-Romagna, con il rischio di penalizzare territori meno equipaggiati come, ad esempio, Molise, Basilicata, Umbria e Abruzzo. Restando in tema di disparità, inoltre, la misura rischia di “regalare valore immobiliare a chi ce l’ha già e offrire opportunità solo a chi risulta essere già più equipaggiato”, ha commentato Marco Marcatili, Responsabile Sviluppo Nomisma.

Come sostenere il Superbonus 110%

Oltre all’Osservatorio, Nomisma ha stilato alcune proposte che potrebbero rendere la misura più funzionale ed efficace. Ad esempio, “Ricorrere a un’operazione sblocca contratti, in attesa della conferma di proroga della misura al 2023, alla quale dovrebbe aggiungersi la certezza sulla cessione del credito” o ancora “Ridurre le distorsioni di mercato, introducendo una sorta di ‘controlla prezzi’ per attenuare il rischio di schizofrenia che sta minando il mercato delle materie prime. Avvalendosi di aliquote differenziate in base ai condomìni coinvolti, inoltre, anche i contesti più ‘difficili’ potrebbero usufruire dell’incentivo”. Ma potrebbe essere utile anche “Adottare più lungimiranza nella programmazione della misura, cominciando già da oggi a progettare lo scenario post 2023”. 

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Suggerimenti e partner

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Statistiche

Italiani, l’80% invecchia bene: la salute in primo piano

Si sa che l’Italia è un paese che conta moltissime teste d’argento: ma come vivono le persone più in là con gli anni? Tutto sommato bene, come rivela una recente ricerca realizzata da Doxa Pharma per Nutricia FortiFit attraverso interviste online a 500 italiani con più di 60 anni per monitorare il loro stato di salute e la percezione del proprio benessere psicofisico. In particolare l’analisi ha suddiviso gli anziani italiani in tre categorie: i Perennials, che sono il 40% del totale, che hanno un atteggiamento produttivo e positivo nei confronti della vita; i Silver Lines, più cauti rispetto ai precedenti ma comunque attenti al benessere e ai rapporti sociali e che sono un altro 40% del campione; infine i Gloomers, 20% della popolazione over italiana, rappresentato in prevalenza da donne e che vivono l’età con una certa stanchezza e disimpegno.

La salute? Buona o ottima per quasi il 70%

Un indicatore interessante è che il  43% del campione totale definisce “buono” il proprio stato attuale di salute, il 19% “molto buono” e il 5% addirittura “eccellente”, facendo così che il 67% dei rispondenti sia positivo in merito al proprio stato fisico. Per mantenere e migliorare la propria salute, il 56% degli intervistati ha dichiarato di sottoporsi regolarmente a controlli ed esami e il 52% di fare movimento e attività fisica, il 40% segue una dieta o mangia in maniera più corretta, il 25% usa integratori alimentari e il 12% ricorre anche ad alcuni trattamenti specifici (fisioterapia, terme, massaggi…). Meglio ancora per la forma mentale: l’85% degli over 60 italiani si sente soddisfatto dal proprio stato di forma mentale (memoria e capacità di concentrazione) e il 68% dalla propria energia e vitalità nello svolgere le attività quotidiane. Soffrono di più invece le articolazioni, muscoli e ossa, che vedono alzarsi e di molto le percentuali di chi non ne è soddisfatto. Per far fronte ai problemi di salute, il 36% degli intervistati ha fatto ricorso ad integratori alimentari, il 33% a farmaci, il 24% ha modificato il proprio stile di vista prestando più attenzione all’alimentazione e il 19% aumentando l’attività fisica, il 18% ha utilizzato prodotti naturali/erboristici/omeopatici e il 9% ha iniziato un ciclo di fisioterapia.

Obiettivo benessere

Ma cosa desiderano per se stessi i “grandi” d’Italia? In generale, il benessere rappresenta la maggiore aspirazione futura per il 73% del campione (le donne sono più propense a raggiungerlo attraverso l’alimentazione, gli uomini tramite l’attività fisica), seguito dai viaggi (54%), dai rapporti sociali (46%), dalla cultura (43%) e dalle finanze (33%, soprattutto per gli uomini e per chi si prende cura dei nipoti).

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Online

Privacy, approvate le nuove linee guida per non essere tracciati

Il Garante per la privacy ha approvato nuove Linee guida sui cookie per non essere tracciati mentre si naviga online: da oggi basterà un clic sul banner.
L’obiettivo è di rafforzare il potere di decisione degli utenti riguardo all’uso dei loro dati personali quando navigano in rete. Ma il Garante auspica che si arrivi presto a una codifica universalmente accettata dei cookie, oggi assente, che consenta di distinguere in maniera oggettiva i cookie tecnici da quelli analytics o da quelli di profilazione. In attesa di raggiungere questo obiettivo, il Garante richiama i publisher a rendere manifesti nell’informativa almeno i criteri di codifica dei tracciatori adottati da ciascuno. I titolari dei siti avranno sei mesi di tempo per conformarsi ai principi contenuti nel provvedimento.

Le motivazioni alla base del provvedimento

L’aggiornamento delle precedenti Linee guida si è reso necessario alla luce delle innovazioni introdotte dal Regolamento europeo in materia di privacy, ma anche in base ai numerosi reclami e segnalazioni sulla non corretta attuazione delle modalità per rendere l’informativa agli utenti e per l’acquisizione del consenso all’uso dei loro dati. Ulteriore motivazione, il crescente uso di tracciatori particolarmente invasivi, e la moltiplicazione delle identità digitali degli utenti, che favorisce l’incrocio dei dati e la creazione di profili sempre più dettagliati.
Il meccanismo di acquisizione del consenso dovrà innanzitutto garantire che per impostazione predefinita al momento del primo accesso a un sito nessun cookie o altro venga posizionato all’interno del dispositivo dell’utente, né venga utilizzata altra tecnica di tracciamento attiva o passiva.

Confermato l’obbligo della sola informativa per i cookie tecnici

Resta confermato l’obbligo della sola informativa per i cookie tecnici, e il Garante raccomanda che i cookie analytics, usati per valutare l’efficacia di un servizio, siano utilizzati solo a scopi statistici. Per quanto riguarda il consenso, per i cookie di profilazione sarà sempre necessario richiederlo attraverso un banner ben distinguibile sulla pagina web, attraverso il quale dovrà anche essere offerta agli utenti la possibilità di proseguire la navigazione senza essere in alcun modo tracciati. Riguardo allo scrolling, il Garante precisa che il semplice spostamento in basso del cursore non rappresenta una idonea manifestazione del consenso.

Resta fermo il diritto degli utenti di revocare il consenso

Riguardo al cookie wall, sistema che vincola gli utenti all’espressione del consenso, il Garante chiarisce che questo meccanismo è da ritenersi illegittimo.
L’Autorità sottolinea inoltre che la ripresentazione del banner a ogni nuovo accesso per la richiesta di consenso agli utenti che in precedenza l’abbiano negato non trova ragione negli obblighi di legge e risulta una misura ridondante e invasiva. La scelta dell’utente, dunque, dovrà essere debitamente registrata e non più sollecitata, e resta fermo il diritto degli utenti di revocare in qualsiasi momento il consenso precedentemente prestato.